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SCIENZA E RESTAURO

Il contributo della scienza al restauro e alla conservazione dei monumenti

Microscopio


I danni provocati dall'inquinamento alle opere d'arte, sommandosi agli effetti del tempo, rendono sempre più necessari interventi conservativi o di restauro per restituire ai monumenti, per quanto possibile, il loro aspetto originario e preservarli da futuri fenomeni di degrado.

In passato tali interventi si basavano su criteri tecnologici per lo più empirici e su tecniche artigianali derivate dalla tradizione. Il notevole sviluppo della scienza nel XX secolo ha messo a disposizione nuovi metodi d'indagine che permettono una più precisa conoscenza dei materiali costitutivi e dei problemi che essi presentano: diventa quindi possibile fare, attraverso una serie di analisi scientifiche mirate, una vera e propria "diagnosi" dello stato di salute dell'opera per impostare un adeguato restauro.

Occorre, infatti, ricordare che "L'opera d'arte figurativa esiste in quanto costituita di materia e la sua "vita" non è che un trasformarsi spontaneo o forzato di questa. La chimica e le scienze affini indagano appunto la materia; da esse quindi può provenire un notevole aiuto per conoscere in profondità un aspetto importante dell'opera, la sua natura materiale. Inoltre, proprio dalle discipline scientifiche possono essere ottenute le indicazioni per prolungare con i metodi più corretti la sua esistenza"(1). Salvaguardare un'opera d'arte vuole dire quindi garantirne prima di tutto l'esistenza materiale e di questo aspetto si occupano il chimico, il fisico e il biologo, le cui competenze devono comunque integrarsi con quelle dello storico dell'arte, allo scopo di conservare l'originale contenuto espressivo del monumento, senza del quale la materia sarebbe priva di significato.

Da quanto esposto emerge come ora l'intervento di restauro, soprattutto quando è particolarmente delicato, non può prescindere dal contributo che i metodi di indagine scientifica possono fornire. Tali metodologie permettono di svolgere un'analisi attenta sulle caratteristiche del materiale di utilizzo, sulla sua provenienza, accertando al tempo stesso lo stato di degrado dell'opera al fine di conoscere le trasformazioni subite dai materiali a contatto con l'ambiente, in funzione del tempo o per cause accidentali. Esistono markers capaci di stabilire la "salute" del manufatto e risalire alle cause del degrado, per decidere il da farsi nel momento del restauro. È possibile anche identificare con precisione eventuali restauri precedenti che possono falsare l'aspetto primitivo, alterato dall'utilizzo di agenti estranei agli originali, possibili cause di trasformazioni impreviste. Le analisi consentono quindi la scelta dei materiali più idonei per la pulitura, il consolidamento, l'eventuale integrazione e la protezione del manufatto, materiali che non devono innescare nuove cause di degradazione: tale scelta deve perciò tenere conto del parere di esperti in grado di valutare l'impatto delle sostanze utilizzate sui materiali costitutivi l'opera d'arte.

Esempi di metodi di indagine scientifica applicati alle opere d'arte

Pulire un'opera d'arte


Nel caso dell'affresco e quindi del dipinto murario, il problema maggiore si riscontra nel campionamento, ossia nella difficoltà del prelievo che dovrebbe essere il più omogeneo possibile per non interferire sulle analisi.

Si possono scegliere zone di campionamento vicine a lacune, cadute di pittura e il dato analitico sarà influenzato da un'alterazione più accentuata degli strati da studiare. Può avvenire in modo diretto, globale o selettivo a seconda dell'analisi.

La quantità di campione da prelevare è in funzione dell'oggetto, delle dimensioni, della grandezza della campionatura da restaurare, ma dipende anche dal tipo di analisi da attuare, che può necessitare di poche polveri come di consistenti quantità di campione.

Il periodo ideale per la campionatura deve essere riferito a condizione climatiche favorevoli al mantenimento del campione, per la sua sterilità e la sua protezione da agenti contaminanti.

Le analisi più congeniali per quanto riguarda le policromie murarie possono essere: La sezione stratigrafica non è un'analisi di laboratorio, ma una tecnica di preparazione del campione: consente di localizzare i diversi componenti pittorici, le stratificazioni, la presenza di disegni preparatori, vernici, dorature, e decorazioni varie.

Per tale indagine serve una quantità di campione non inferiore a 0,1 mm2,ma le dimensioni in genere si basano sulla portata del microscopio.

È una tecnica di tipo distruttivo, che consiste nel porre il campione in un bagno di resina acrilica, che viene poi fatta indurire, quindi la sua superficie viene lucidata, e il campione contenuto al suo interno è pronto per essere osservato al microscopio dal quale si ricaveranno una serie di informazioni sulla morfologia e sulla struttura del dipinto. Tale processo si avvale poi di numerose analisi complementari, che sono per la maggior parte quelle sopra elencate.

La microscopia ottica è un'indagine qualitativa morfologica, che si avvale dello studio di particolari invisibili ad occhio nudo al fine di riconoscere i componenti costitutivi. Si utilizzano microscopi planari semplici e polarizzati oppure stereomicroscopi che analizzano la stereometria chimica dei componenti. Servono campioni di dimensioni anche piccolissime e si riesce a fornire informazioni sulla caratterizzazione dei pigmenti, su forma, dimensione e proprietà ottiche come colore, indice di rifrazione, isotropia.

Gli spot test consistono in una serie di indagini qualitative su campioni in polvere e nella stessa sezione stratigrafica; sono distruttivi e mirano a identificare componenti organici come leganti, supporti, coloranti, adesivi, vernici e protettivi, e componenti inorganici come pigmenti, prodotti corrosivi e sali inquinanti.

Necessitano di quantitativi al di sotto del mg e rivelano informazioni sugli interventi di restauro, come ad esempio l'efficacia dello stesso, utilizzando elementi con pH o sali particolari.

La diffrazione a raggi X è un metodo semiquantitativo e qualitativo che analizza componenti cristallini organici e inorganici, ma è preferita per i secondi. Viene utilizzata anche per pietre e marmi. Si ricavano informazioni sulla formula del campione e sulla composizione dei cristalli. Il campione,(di cui sono necessari almeno 0,5 g) in polvere, in scaglie o in sezioni stratigrafiche va ridotto in polvere. Tale analisi sfrutta la legge di Bragg che dice che la distanza reticolare di un cristallo si ottiene tramite la formula

n λ d = 2 sen Θ.

Il cristallo, colpito da una radiazione avente lunghezza d'onda λ dello stesso ordine di grandezza delle dimensioni reticolari, diffrangerà la radiazione secondo l'angolo riportato nella formula. L'intensità del segnale è proporzionale al numero delle facce cristalline presenti.

La microscopia elettronica (SEM) a scansione con microsonda elettronica (EDS) è applicata generalmente a campioni di natura inorganica come quelli di tipo cristallino o amorfi. Si avvarrà dell'ingrandimento di un oggetto solido, con onde elettroniche. Un fascio di elettroni colpisce il campione che emette tre tipi di segnali diversi raccolti e visualizzati da un tubo catodico, fotografati e digitalizzati. Gli elettroni secondari forniscono un'immagine tridimensionale del campione e della sua struttura morfologica. Gli elettroni retrodiffusi evidenziano la distribuzione degli elementi a diverso peso atomico. I raggi X vanno a dare un'identificazione qualitativa e quantitativa con mappe di distribuzione dei diversi elementi.

La spettrofotometria infrarossa (IR) è utilizzata per l'identificazione di varie sostanze organiche utilizzate nel campo delle opere d'arte. Sono state identificate e caratterizzate vernici, adesivi, lacche, cere, resine, pigmenti organici, ma anche della loro composizione utilizzando quantità generalmente piccole di campione, tramite l'individuazione dei gruppi funzionali. Lo strumento è composto da una sorgente di radiazione infrarossa che tramite una serie di specchi fissi viene inviata alle celle e successivamente ad una serie di monocromatori e ad un rivelatore per creare un confronto fra energia inviata e quella trasmessa dal composto e infine ad un registratore. L'analisi fornisce uno spettro che riporta gli assorbimenti di energia lungo l'intervallo di numero d'onda tra 4000 e 400 cm-1. Ogni gruppo funzionale ha una propria lunghezza d'onda e pertanto può essere riconosciuto, e si può ovviare al problema di interferenze dovute al solvente utilizzato per la creazione dello spettro, utilizzando il campione, se solido, in miscela con KBr e poi compresso in micropastiglie, se liquido invece tal quale. Il responso dello spettrofotometro IR sarà costituito da un grafico che riporta in ascissa il numero d'onda in cm-1 ed in ordinata la trasmittanza percentuale e da una serie di picchi di assorbimento più o meno intensi che sono tipici di ogni legame. La trasmittanza è inversamente proporzionale al valore di energia che è stata assorbita dallo spettro e che farà vibrare i legami della molecola stessa. Un valore più alto di trasmittanza significa che l'energia capace di far vibrare i legami ha attraversato il campione e ne è uscita lasciandolo inalterato, mentre un valore più basso, al contrario, indicherà che una parte dell'energia è stata assorbita dallo stesso.

La vibrazione di un legame provoca o il suo allungamento-accorciamento (stretching, simboleggiato da"ν") oppure il suo piegamento, modificando l'angolo di legame (bending simboleggiato da "δ"), oppure entrambi.

L'IR ci permette, per quanto riguarda le pietre calcaree tenere, di scoprire se su di esse è presente del gesso o meno. Una ricerca attesta che in una crosta nera la quantità di gesso presente, in unità percentuali, è quasi attorno al 100%. Una statua riparata dalle intemperie anche solo con un tettuccio ne è luogo di formazione minore, al contrario invece di una scoperta.

La spettroscopia a UV è una tecnica capace di darci informazioni su coloranti naturali costituenti le lacche, gialle, blu, rosse e verdi impiegate come pigmenti, sul riconoscimento dei coloranti di sintesi e sulla determinazione quantitativa di ioni come solfati, cloruri, nitrati su substrati murali. Si rivela utile per un'analisi qualitativa e quantitativa di sostanze che assorbono però in questo caso nell'ultravioletto e nel visibile. Anche in questo caso si tratta dell'assorbimento di energia sottoforma di onde elettromagnetiche che provocano però lo spostamento di elettroni da orbitali di legame ad orbitali di antilegame. Le sostanze analizzate possono essere di natura elementare o molecolare, opportunamente miscelate con reattivi.

L'analita è portato in genere in soluzione acquosa e subirà lo stesso procedimento di invio e assorbimento di energia dello spettro IR, ma la sorgente, le celle, in genere di quarzo o di opportune resine sintetiche trasparenti agli U.V., monocromatori ed il rivelatore saranno adatti a questo più energetico tipo di radiazioni.

La cromatografia ionica è un ulteriore metodo di analisi qualitativo e quantitativo attuato su estratti acquosi di sostanze come i sali di sostanze solubili o gli zuccheri e le proteine. Il campione (quantità necessaria 10mg) proviene da vari strati alterati o meno di policromia e ridotto a polvere. Dall'analisi, effettuata tramite la separazione di sostanze ioniche a diversa carica e mobilità all'interno di una soluzione acquosa, si può ricavare la distribuzione ionica, informazione sul tipo di sale e una stechiometria degli equivalenti del campione.

L'assorbimento ad emissione atomica (AAS) permette la determinazione quantitativa di alcuni elementi chimici (inorganici) presenti anche in tracce su manufatti lapidei, ceramici, vitrei e metallici e nei sali, nei pigmenti, intonaci e nei loro prodotti di trasformazione. Dopo l'attacco con acido si rende solubile il campione (al di sotto del mg), sciogliendolo in acqua; si basa sulla misura dell'emissione di energia luminosa da parte di atomi: l'emissione è direttamente correlata al numero di atomi presenti e ovviamente alla loro concentrazione. Le informazioni ricavabili sono la composizione, la provenienza, lo stato di conservazione, la possibilità o meno di utilizzare solventi per evitare il degrado del manufatto. La datazione di reperti con contenuti di carbonio legati e fissati a molecole più complesse può essere un'informazione importante e a tale scopo si attua un metodo distruttivo e quantitativo sul campione chiamato determinazione isotopica del 14C. L'analisi si attua su campioni di carbonati di malta, provenienti da strutture murarie originarie, su schegge e frammenti di pietra e si ottengono risultati circa la quantità di 14C ancora presente nel materiale esaminato. Maggiore è la quantitą utilizzata, migliore l'analisi potrà risultare.

Il 14C ha un tempo di decadimento e di trasformazione nelle forme più stabili (a minor energia), quelle del 12C e del 13C ben noto. Basandosi sull'utilizzo di un fotometro ad accelerazione di massa o di un contatore a impulsi si potranno ricavare i valori di più isotopi del carbonio presenti e effettuare una stima dell'età del manufatto.

La termografia è una analisi capace, oltre alla tessitura muraria, di verificare la presenza di fenomeni di umidità in atto. Molte volte la costruzione di un intonaco non avviene secondo le prerogative migliori e il tutto va a discapito, in tempi più o meno lunghi, del manufatto.

Se il muro non riceve adeguata bagnatura prima dell'applicazione dell'intonaco, in futuro spesso potranno verificarsi formazioni di bolle d'aria, d'acqua, di distacchi, di crepe, ad esempio. L'indurimento della malta procede gradualmente a causa dell'evaporazione dell'acqua (associata ad un'evidente contrazione), dell'azione cementante della malta (formata da idrossido di calcio, sabbia e acqua) e dell'azione dell'anidride carbonica atmosferica. Per una scarsa presenza d'acqua, l'idrossido e l'anidride non potranno reagire ed indurire propriamente, e facilmente dopo poco l'intonaco tenderà alla crepa. Tramite tali fessure facile sarà l'infiltrazione di acqua e la formazione di zone di umidità.

Così la termografia riesce a darci una mappa completa delle radiazioni infrarosse comprese tra 2,0 e 5,6 µm provenienti da qualunque oggetto caldo; opportunamente interpretata essa ci darà la completa distribuzione delle temperature nell'oggetto e ci permetterà di individuare zone umide tramite la costante evaporazione acquosa.

Come si sa, qualsiasi oggetto caldo, anche ad una temperatura leggermente superiore dello zero assoluto ( 0°K), emette radiazioni elettromagnetiche lungo tutto lo spettro. La termovisione rimpicciolirà tale intervallo e percepirà solo radiazioni dipendenti dal calore degli oggetti, ossia quelle sopra citate.

Per l'umidità utile è anche l'analisi gravimetrica di laboratorio: il campione deve essere sminuzzato, pesato e posto in stufa, essiccato alla temperatura di 150°C e trattato e pesato sino a massa costante. La quantità di acqua si ricaverà dalla differenza di pesata prima e dopo l'essiccazione del composto. La quantità di umidità può essere calcolata in sito anche mediante il metodo della "bomba a carburo", procedimento che prevede una reazione violenta all'interno della bomba: la quantità di pressione dovuta alla reazione è proporzionale alla quantità di acqua presente. Tale risultato deve però essere considerato con attenzione.

NOTE




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