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ERCOLE ED EMILIO LEPIDO

Immagine

Cenni storici
Le due statue marmoree furono realizzate attorno al 1565 dallo scultore reggiano Prospero Sogari Spani Clementi, detto "Il Clemente" (1516-1584): sulla clava dell'Ercole e sul cingolo della corazza dell'Emilio Lepido si legge infatti la medesima firma "PROSPER CLEMEN. REGIEN".

La data approssimativa di esecuzione si ricava da una raccolta di documenti (1) relativi all'artista, preziosa per ricostruire la sua opera. Diverse testimonianze riguardano le statue in esame delle quali è così possibile seguire la storia a partire addirittura dall'acquisto dei blocchi di marmo carrarese impiegati. Dopo essere state scolpite intorno al 1565, le opere vennero trasportate nel 1584 dalla casa del Clementi a quella del banchiere reggiano Gaspare Scaruffi, che le aveva acquistate per 1200 scudi d'oro, disponendo poi per testamento che i suoi eredi e successori non vendessero, separassero o trasferissero fuori città le due sculture; in caso contrario esse dovevano passare in proprietà della città di Reggio.

Nel 1622 gli Scaruffi ottennero dalla Comunità di Reggio il permesso di collocare fuori, in due nicchie ai lati del portone del palazzo, le statue, affacciate quindi sulla pubblica via, che da quel momento venne anche chiamata Via delle Statue degli Scaruffi.

In quel luogo rimasero fino a quando, nel 1724, Claudia Prati Scaruffi, vedova e senza eredi diretti, le destinò per testamento al duca Rinaldo I d'Este, contravvenendo alle volontà di Gaspare che le aveva acquistate. Da un codicillo aggiunto al testamento della contessa Scaruffi alla vigilia della sua morte (2), si apprende che la sua donazione al Duca era un modo per coinvolgerlo moralmente nell'esecuzione delle sue volontà, perché si rendesse garante di un suo lascito a fini di beneficenza (a favore del Consorzio della Concezione per la protezione e istruzione delle giovani povere di Reggio), al quale i parenti avrebbero potuto porre degli ostacoli.

Nell'agosto del 1724 le statue vennero trasportate da Reggio al Palazzo Ducale di Modena: per realizzare le due grandi nicchie che tuttora accolgono le sculture furono chiusi i due finestroni ai lati del portone, che davano luce all'atrio d'ingresso del palazzo. Il trasporto dei due giganti fu indubbiamente impegnativo, soprattutto per l'Ercole, essendo ricavato per tutt'altezza da un unico blocco con l'aggiunta solo dei pezzi che formano la clava, il braccio sinistro e le teste del cane, parti che vennero smontate e successivamente rimontate. Meno problematico dovette essere il trasporto dell'altra statua, costituita originariamente da dodici pezzi che furono smontati e poi riassemblati.

L'autore delle due opere, Prospero Sogari Spani, fu il più rinomato scultore reggiano della seconda metà del Cinquecento, che dal nonno materno e dallo zio derivò il soprannome di Clemente, con cui firmava le proprie opere, come appare anche dai due giganti di Palazzo Ducale

Firma dello scultore sulla clava dell'Ercole

Particolare: firma dello scultore sulla clava dell'Ercole

Formatosi probabilmente nella bottega dello zio Bartolomeo Spani (1468/1539), anch'egli valente scultore e personalità di spicco nella Reggio rinascimentale, l'artista fu particolarmente influenzato dalla lezione di Michelangelo (ascendenza evidente nelle forme possenti dell'Ercole e del Marco Emilio Lepido), a cui si aggiunsero influssi del modenese Begarelli e in generale del manierismo emiliano. Tali apporti trovarono in molte sue opere una espressione personale e originale, che giustifica il successo di cui godette nella Reggio cinquecentesca, dove si svolse la maggior parte della sua attività (3). Le sue prime opere, però, furono eseguite per altri centri, in particolare Parma (deposito funebre del vescovo Bernardo degli Uberti, monumento sepolcrale del giureconsulto Bartolomeo Prati, nella cripta del Duomo) e Mantova (mausoleo del vescovo Giorgio Andreasi, ora in S. Andrea). In Reggio si conservano molte sue sculture, particolarmente numerose in Duomo sia all'esterno, nella facciata (ad esempio le statue di Adamo ed Eva e di Santa Caterina), che all'interno (monumenti sepolcrali al vescovo Rangoni, al vescovo Martelli, a Cherubino Sforziano, al canonico Fossa). Altre sue opere si trovano in San Prospero (la Vergine col Bambino, Il Cristo che porta la croce e il monumento sepolcrale all'umanista Ludovico Parisetti) e in San Nicolò (monumento di Filippo Zoboli); alcuni busti di intensa espressività (raffiguranti Gherardo Mazzoli, Dionisio Ruggeri e Gaspare Scaruffi) scolpiti dal Clemente si conservano poi nei Musei Civici di Reggio Emilia. Infine, due sculture femminili simboleggianti la Fede e la Carità furono eseguite per il Duomo di Carpi nel 1582-1583, cioè negli ultimi anni di vita dell'artista.

Emilio Lepido Ercole

Ercole ed Emilio Lepido prima del restauro

Descrizione

Le due statue, di grandi dimensioni (circa 3 metri di altezza ognuna), rappresentano Ercole e il console romano Marco Emilio Lepido.

Ercole, personificazione del coraggio e della forza fisica, è raffigurato come un gigante barbuto, dal corpo muscoloso e con gli attributi che caratterizzano questo eroe della mitologia: la clava, secondo la tradizione ricavata da un ulivo selvatico divelto a mani nude dallo stesso Ercole, e la pelle del leone di Nemea, trofeo della prima delle dodici fatiche dell'eroe. All'ultima di queste rimanda invece il cane a tre teste ormai domato (Cerbero), scolpito ai piedi del gigante (4). La pelle del leone non è quasi visibile da un'osservazione frontale della statua, perché il Clemente l'ha scolpita dietro il piede sinistro del gigante, appoggiata sul terreno.

Marco Emilio Lepido, il console romano a cui si deve la costruzione della via Emilia, ha un corpo possente rivestito dalla corazza, decorata nelle bandelle con piccole ed eleganti figure scolpite che rappresentano allegorie dei quattro punti cardinali, della città di Roma e di otto province "regali" (5). Esse mostrano una notevole perizia di esecuzione: il marmo è rifinito quasi come fosse metallo pregiato, un particolare che si può apprezzare solo grazie all'ultimo restauro. Tale virtuosismo deriva probabilmente dall'esempio dello zio dell'artista, Bartolomeo Spani, che oltre ad essere scultore era anche valente orafo e proprio nella sua bottega, come già ricordato, si formò il Clemente. La raffinata esecuzione interessa anche i calzari della statua ed è presente anche in altre opere del Clemente.

Particolare E. Lepido durante restauro

Particolare E. Lepido durante restauro. Evidente una zona nera incrostata ed una già ripulita

Particolare Ercole: pelle di leone ai piedi della statua

Particolare Ercole: pelle di leone ai piedi della statua

Le due statue prima del restauro

Le opere sono poste presso l'ingresso al Palazzo Ducale affacciato su Piazza Roma: si tratta quindi di una zona soggetta ad un grande inquinamento causato dai numerosi mezzi privati e pubblici che giornalmente circolano a pochi metri dalle statue. Essendo affacciate sulla piazza, sono esposte a sud, frontalmente e quindi alla massima intensità dei raggi solari e alle piogge, il che ha comportato nel corso degli anni, e tuttora comporta, un'ampia serie di conseguenze sulla loro conservazione. Dalla semplice osservazione visiva delle opere, prima delle analisi effettuate e del successivo intervento di restauro, fu possibile rilevare i problemi di seguito descritti, che, unitamente agli annerimenti e alle patinature della superficie marmorea, rendevano ormai illeggibili le parti scolpite con estrema cura per i dettagli dall'artista. L'Ercole presentava cadute superficiali di materiale lapideo principalmente nella clava e nella mano destra che la impugna, nel capo, nei piedi, nelle teste di Cerbero e nella mano sinistra, interessata da una sbrecciatura nel dito pollice, e da microfratture superficiali in vari punti. Quest ultimo fenomeno riguardava anche la mano destra, la clava e il volto del gigante, nel cui torso si rilevavano cadute di pellicole superficiali.


Emilio Lepido Ercole

Tavole raffiguranti le statue sulle quali sono state riportate ed evidenziate graficamente le informazioni rilevabili dalla osservazione

Legenda

L'Emilio Lepido presentava cadute di pezzi consistenti del modellato in diversi punti (soprattutto nelle bandelle della corazza e nella parte anteriore del mantello), cadute superficiali di materiale lapideo e di pellicole, oltre a zone a rischio di sollevamento con microfratture, come osservato nell'Ercole.

Risultava altresì evidente che tali danni interessavano le parti frontali delle statue, esposte al sole e all'azione diretta della pioggia, mentre le parti posteriori o comunque protette dal sole e dall'acqua non presentavano tali alterazioni.

Diagnostica per il restauro

Alla osservazione visiva delle statue ha fatto seguito una serie di indagini scientifiche preliminari al restauro. Per questo sono stati effettuati prelievi microscopici su differenti zone non visibili dalla strada, consistenti in frammenti di marmo più o meno degradato e in porzioni di crosta e patina superficiali. I campioni prelevati sono stati analizzati seguendo diversi metodi di indagine, allo scopo di determinare per ciascuna statua le principali caratteristiche fisiche e chimiche sia del materiale originario che di quelle parti presenti sulle superfici esterne ed in profondità, formatesi in seguito all'azione del tempo e dei principali elementi deterioranti.

Per quanto riguarda l'Ercole, le analisi vennero eseguite allo scopo di identificare il materiale lapideo, verificandone anche lo stato di conservazione, e soprattutto di determinare la natura di una crosta giallastra, localmente annerita, che ricopriva determinate parti della statua, aderendovi perfettamente, e che in altre zone era ormai sollevata e localmente caduta. Si trattava quindi di capire se questa crosta, sovrapposta alla superficie marmorea, fosse presente originariamente per fini estetici o se fosse invece il risultato di azioni intraprese in seguito a scopo conservativo.

I vari frammenti prelevati vennero sottoposti a numerose analisi: furono osservati al microscopio mineralogico ed ottico, vennero analizzati per diffrattometria ai raggi X e attraverso test microchimici.

Grazie al primo di questi metodi di analisi (applicato a sezioni sottili trasversali dei campioni), si giunse alla conclusione che il materiale principale è identificabile in "un calcare cristallino con struttura granoblastica quasi equidimensionale (omeoblastica) a grana medio-fine" (6), cioè si tratta di un marmo. Si osservarono poi nelle zone più superficiali diverse fessurazioni intergranulari formatesi a causa degli sbalzi termici a cui la statua è stata soggetta negli anni; tali fessurazioni, una volta formatesi, vengono poi allargate per effetto delle infiltrazioni delle acque piovane acide. Questa ipotesi sulla formazione delle crepe è avallata dalla presenza di numerosi cristalli di gesso osservati all'interno delle microfessure stesse, derivati presumibilmente dalla crosta che ricopre la superficie marmorea, caratterizzata da una "scialbatura a base di gesso non coeva"(6).

La principale conclusione che venne tratta dall'osservazione dei campioni al microscopio mineralogico fu quindi che la parte superficiale della statua non era più idrorepellente, o forse non lo era mai stata; da ciò consegue che l'acqua piovana, libera di insinuarsi all'interno delle crepe presenti, causa una perdita di coesione del materiale marmoreo, fino a provocare il distacco della crosta superficiale. Se tale crosta, col tempo, continuerà a sollevarsi, staccandosi e cadendo, c'è il rischio reale che porti con sé parte del materiale marmoreo originale.

Le metodologie di analisi successive hanno avuto lo scopo di determinare la natura di tale crosta superficiale, a partire dalla sua stratigrafia, che è stata evidenziata osservandone delle sezioni trasversali lucide al microscopio ottico. Essa risulta formata da due o tre strati nettamente distinti: il primo (a) a partire dal substrato marmoreo si presenta compatto, bruno e con numerose fessure perpendicolari, il secondo (b) è più spesso del primo, granulare e giallastro, il terzo (c), non sempre presente, è simile al secondo, ma di colore più scuro.

La crosta superficiale, includente tutti gli strati sopra descritti, è stata polverizzata e analizzata per diffrattometria ai raggi X, che ha evidenziato i seguenti componenti: gesso in elevata quantità, ma anche calcite, quarzo, tracce di feldspati e weddelite in quantità variabili. Quest'ultima, la weddelite, ovvero "ossalato di calcio biidrato", è uno dei componenti che più frequentemente vengono rilevati sulle superfici lapidee e si ipotizza che derivi dall'attività metabolica di microrganismi. I feldspati ed il quarzo sono presenti come impurezze derivate dal particellato atmosferico depositatosi sulle statue a causa dell'ambiente nel quale esse sono inserite. La calcite è presente in tutti i campioni analizzati in quantità differenti, sulla sua origine sono state avanzate diverse ipotesi: la più probabile la identifica come un componente della scialbatura a base di gesso che venne stesa sulla superficie della statua. Ciò spiegherebbe anche la grande presenza di gesso nella crosta analizzata, quantità troppo elevata per essere interamente il prodotto di attacchi acidi del marmo.

Ulteriori analisi utilizzando il microscopio ottico e test microchimici hanno permesso di identificare su strati di differente profondità altri elementi quali calcio, silice, zolfo, alluminio, potassio, magnesio e ferro. In particolare la presenza negli strati più esterni di silice e alluminio permettono di ipotizzare trattamenti a scopo conservativo intrapresi in passato; infatti una delle procedure conservative maggiormente impiegate in Europa nella seconda metà del secolo scorso consisteva nell'applicare una base di allumina per un seguente trattamento con silicato di potassio.

L'identificazione del calcio e dello zolfo come elementi più abbondanti conferma che la massa degli strati analizzati è costituita da gesso (solfato di calcio biidrato). Il ferro è invece presente in quantità variabile in diversi punti dei frammenti analizzati, è riconoscibile per la colorazione gialla fornita da un pigmento granulare ocra contenente l'elemento stesso. Altri elementi quali silicio, alluminio, potassio e magnesio, presenti in quantità minore, trovano corrispondenza nella presenza di quarzo e feldspati, già individuati nelle analisi per diffrazione ai raggi X, come elementi esterni depositatisi sulla statua per l'azione atmosferica.

Nello strato più interno sono stati ritrovati gli stessi elementi ad eccezione dello zolfo, quindi in questa sezione non è contenuto gesso. In questo stesso strato l'abbondante presenza di silicio suggerisce l'ipotesi che questo non sia di provenienza atmosferica, ma piuttosto presente come silice amorfa. Analogamente la presenza in quantità notevoli di potassio (sempre nello strato più interno) suggerisce che questo strato possa essere il risultato di un trattamento superficiale con silicato di potassio, operazione largamente utilizzata a scopo conservativo fino alla prima parte del secolo attuale. Questo spiegherebbe anche la presenza di alluminio negli strani più esterni, sarebbe infatti riconducibile ad una applicazione di allumina come trattamento di preparazione per l'applicazione del silicato di potassio.

Composizione di Microfotografie

Microfotografie in luce riflessa delle sezioni trasversali lucide in due campioni di crosta

Al termine delle analisi preliminari eseguite sulla statua dell'Ercole è stato possibile identificare una serie di trattamenti intrapresi nel corso dei secoli. Il primo, effettuato tra la seconda parte dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, fu probabilmente a base di silicato alcalino. Successiva fu la stesura di un impacco a base di gesso e pigmenti giallo ocra, presumibilmente a scopo estetico o di conservazione (è il caso di ricordare che fino all'inizio del XX secolo la stesura di strati spessi di impasti era considerata un metodo protettivo per le superfici dei monumenti). Più recente sarebbe invece la patinatura con un analogo miscuglio di gesso, probabilmente effettuata dopo i danni causati alla statua dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Una seconda osservazione derivante dagli esami effettuati fu la constatazione del progressivo distacco della crosta superficiale a causa delle acque meteoriche, con il conseguente sfarinamento del materiale lapideo sottostante. Infatti gli strati di materiali sovrapposti al marmo nel passato non lo proteggevano, perché erano permeabili all'acqua.

Analoghi furono i risultati ottenuti dai prelievi effettuati sulla statua dell'Emilio Lepido, la quale però presentava ulteriori problemi in seguito al bombardamento che, nel corso della seconda guerra mondiale, causò il crollo della paratia sovrastante la statua, provocando lo smottamento di diversi pezzi della statua e la defalcazione di alcune dita della mano sinistra. I danni vennero riparati in modo approssimativo, stuccando le crepe con del cemento e riassemblando in modo non adeguato, con perni di ottone affogati in cemento, i pezzi delle dita recuperate.

Oltre a questo, anche il trasporto da Reggio a Modena subito dalla statua provocò diverse rotture e crepe: la statua venne smontata nelle diverse parti che la componevano per facilitarne il trasporto, con conseguenti danni alle strutture interne e alla superficie esterna. Inoltre i pezzi non vennero riassemblati in modo adeguato, utilizzando perni in ferro, calce ed un mastice resinoso. Questo mastice in particolare è stato rinvenuto, attraverso i test effettuati, anche in profondità, in zone non accessibili, suggerendo che venisse colato a caldo negli interstizi e nelle giunzioni. È in particolare riconoscibile una lesione nella parte anteriore del busto, probabilmente subita durante le fasi di trasporto o di rimontaggio, lesione che venne stuccata con resina e, solo più recentemente, con cemento e sabbia.

Particolare E. Lepido: dita defalcate

Particolare E. Lepido: dita defalcate

Alla statua vennero anche applicate posteriormente una struttura in ferro forgiato a forma di L e tre aste trasversali, anch'esse in ferro, a forma di U, allo scopo di sorreggere i vari pezzi componenti la statua. Attualmente, osservando queste staffe, é possibile notare come le stesse si siano inarcate, seguendo il progressivo movimento di avanzamento della statua; in particolare due delle aste trasversali non sono più a contatto con la struttura portante e quindi non esercitano più la loro funzione di sostegno. Quantitativamente si può osservare che la parte superiore della statua ha subito in questi anni uno spostamento in avanti di circa 12mm.

Questi vari dissesti nella struttura della statua, oltre a causare il danno nella parte interessata dalla crepatura, causano concentrazioni tensionali, rilevate in un'accurata relazione sulla statica delle due statue (7) eseguita prima dei lavori di restauro, che tendono a far progredire tali fessurazioni, causando quindi ulteriori danneggiamenti all'opera.

Fenomeni di sollevamento della crosta e caduta del materiale sottostante analoghi a quelli descritti per l'Ercole si osservano quindi anche in questa scultura. É importante inoltre sottolineare che la statua dell' Emilio é formata da 12 parti singole, a differenza delle 5 dell' Ercole (escludendo per entrambi il basamento): ne consegue che nella prima statua vi é un numero maggiore di punti di saldatura delle differenti parti, lungo le quali é favorita la formazione delle fessurazioni.

Il restauro

Una volta eseguite tutte le analisi sopra descritte, e dopo aver valutato gli esiti di tali operazioni e delle osservazioni di vario tipo effettuate, si delinearono quelli che dovevano essere i trattamenti necessari per migliorare la condizione delle due opere marmoree. In particolare si decise di effettuare una ripulitura generale delle due statue e di tentare un consolidamento delle superfici danneggiate (8).

I lavori iniziarono nell'Agosto del 1988 e si protrassero fino al Maggio dell'anno seguente, a cura della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Reggio Emilia.

Prima di effettuare le operazioni di pulitura, si procedette al riconsolidamento delle zone in cui il marmo risultava disaggregato, ciò venne effettuato mediante l'applicazione di acqua e calce assieme ad una serie di prodotti specifici caratterizzati da una emulsione acrilica.

Una volta riconsolidata la superficie, si ripulirono le statue con una serie di impacchi effettuati attraverso una pasta di carta impregnata con una soluzione acquosa di carbonato di ammonio. Una volta posizionati, tali impacchi vennero ricoperti con fogli di polietilene, lasciandoli agire fino ad un graduale ammorbidimento dei depositi superficiali. Dopo ogni fase di pulizia un semplice lavaggio con acqua provvedeva a rimuovere tali depositi. Questa operazione, benché semplice, risultò particolarmente impegnativa sulla statua dell' Emilio Lepido a causa della grande disomogeneità della superficie marmorea, la quale richiese un differente numero di impacchi da zona a zona. Un'ulteriore pulizia venne poi finemente eseguita utilizzando un semplice bisturi.

Particolari busto Ercole

Particolari busto Ercole

E. Lepido nel corso delle operazioni di restauro

E. Lepido nel corso delle operazioni di restauro

Una volta terminate anche le fasi di pulitura, le due statue vennero trattate con una soluzione al 3% di Paraloid B72, ovvero un prodotto in grado di conferire alle statue una maggiore idrorepellenza per prevenire i fenomeni di infiltrazione che erano stati osservati.

Su entrambe le sculture è poi risultata necessaria una serie di innesti di piombo o acciaio in forma di perni, successivamente occultati attraverso dei tasselli di marmo, per assicurare parti delle statue.

I lavori di restauro vennero compiuti con grande maestria e professionalità, gli operatori riuscirono cioè a eseguire gli interventi necessari senza lasciare tracce visibili del loro lavoro, quali segni dei prelievi o procedure errate, che avrebbero potuto rovinare l'aspetto esteriore delle due opere.

Sulla base dell' Emilio Lepido sono state applicate delle copertine in piombo a scopo protettivo, in modo da eliminare il ristagnare delle acque. È stata applicata una serie di bande chiodate metalliche al di sopra della nicchia per evitare la sosta di volatili sopra le due opere d'arte.

Testa di Ercole prima del restauro Testa di Ercole dopo il restauro

Confronto: testa Ercole prima e dopo il restauro

Busto E. Lepido prima del restauro Busto E. Lepido dopo il restauro

Confronto: Busto E. Lepido prima e dopo il restauro

Osservazioni

Attualmente le statue non presentano particolari elementi di degrado, se si esclude un annerimento sulla superficie esterna dovuto all'inquinamento, smog e fumi di scarico prima di tutto, perché nonostante le richieste inoltrate dalla stessa Soprintendenza, la zona antistante le due statue è tuttora interessata da un intenso traffico di vetture private e mezzi pubblici, i quali oltre al semplice inquinamento causano, con le vibrazioni prodotte dal loro passaggio, progressive microfratture alle statue.

Ercole dopo il restauro

Ercole dopo il restauro

Emilio Lepido dopo il restauro

Emilio Lepido dopo il restauro

NOTE

1. N. ARTIOLI, E. MONDUCCI, Prospero Sogari Spani Clementi scultore reggiano (1516/1584): regesti e documenti, Modena/Aedes muratoriana, 1990.

2. Il motivo della donazione delle statue al Duca è ampiamente chiarito da M. IOTTI, Claudia Prati Scaruffi e le statue di Ercole e di Marco Emilio Lepido del Clementi, in Strenna Pio Istituto Artigianelli, 1989, pp. 139/143, da cui è stata ricavata la notizia.

3. Le notizie sull'attività del Clemente sono state tratte da L. SERRA, Senza lezioni dal Michelangelo, che bravo quel Clemente, Reggio Storia n. 23 (genn./marzo 1984, pp. 4/10 e dai documenti pubblicati da G.A. ROSSI, Il quarto centenario del Clemente, Reggio Storia nn. 24/25 (apr./dic. 1984), pp. 19/24.

4. Per l'iconografia di Ercole è stato consultato L. IMPELLUSO, Eroi e dei dell'antichità, Dizionari dell'arte, Milano, 2002, pp. 92/108.

5. Questo aspetto dell'arte del Clemente è illustrato da N. ARTIOLI, La scultura ornamentale figurata nelle opere di Prospero Sogari Clementi, inserto in Reggio Storia, n. 33 (ott./dic. 1986) da cui sono state tratte le notizie sull'argomento.

6. R. ROSSI MANARESI, G.C. GRILLINI, A. TURCI, Indagini scientifiche preliminari al restauro della statua di "Ercole" dello Spani, in AA: VV., Due nobili statue di marmo, Ercole ed Emilio Lepido di Prospero Clementi, Dossier restauri 1 a cura della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Modena e Reggio Emilia, Parma, 1990, pp. 40/50. Tutte le notizie relative alle indagini preliminari sono state ricavate da questa relazione.

7. G. SERAFINI, Alcune considerazioni sulla statica, in AA. VV., Dossier restauri 1, cit. pp. 19/25.

8. Le notizie sul restauro sono ricavate da CLESSIDRA, Relazione di restauro, in AA. Vv., Dossier restauri 1, cit., pp. 51/62.







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