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LA CAPPELLA BELLINCINI

La Cappella Bellicini


Cenni storici e restauri del passato

Nei primi anni del XIV secolo il giudice modenese Bellincino de' Bellincini fece erigere un altare nella prima cappella di destra del Duomo di Modena, dedicandola a San Giovanni Battista (1).

Poco oltre la metà del Quattrocento, tale cappella venne dedicata a San Bernardino (di cui troviamo un'immagine accanto all'ingresso della sacrestia). Intorno a quegli anni, Filippo Bellincini nel suo testamento (1465) diede disposizione per la costruzione della cappella: si trattava probabilmente della struttura architettonica in cotto, formata da una "mostra" sporgente in cui si apre un ampio fornice coronato da una lunetta. L'opera, addossata alla parete della chiesa, nel 1476 era già stata realizzata: da un documento si ha infatti notizia che, per le cattive condizioni del tetto del duomo, l'acqua della neve sciolta, penetrando nel sottotetto, si era infiltrata nel muro proprio dietro la nuova struttura in cotto.

Non si conosce con certezza quando si procedette alla decorazione pittorica, che dovette avvenire in anni prossimi alla realizzazione della cornice in cotto; è certo comunque che nel 1532, circa cinquant'anni dopo la sua esecuzione, l'affresco venne celato da una grande pala del Dosso che fu collocata davanti all'immagine più antica.

Nascosta dietro altre opere che sostituirono poi quella del Dosso, essa rimase ignota, fino a quando nel 1822, in seguito ad un generale restauro del duomo, venne rimossa l'ancona lignea che occupava tutta la parete di fondo della cappella, riportando temporaneamente alla luce gli affreschi che, però, al loro riapparire, passarono quasi inosservati (2).

Diversa risonanza ebbe invece la nuova ricomparsa di tali dipinti nel 1847, anno in cui Pietro Cavedoni promosse un nuovo restauro dell'ancona lignea, permettendo così di vedere nuovamente le pitture della parete di fondo della cappella, che dovevano essere in cattive condizioni, tanto che il loro recupero venne affidato al pittore Ferdinando Manzini. Seguendo un orientamento comune a molti restauri ottocenteschi, egli integrò largamente le parti mancanti con abbondanti ridipinture, senza rispettare l'opera originale. L'intervento tuttavia non portò al definitivo scoprimento degli affreschi che il Capitolo del Duomo volle, forse per la loro scarsa leggibilità o perché se ne era persa ogni memoria, occultare nuovamente dietro un'ancona lignea.

Solo nel 1897 gli affreschi vennero scoperti definitivamente e si procedette a un nuovo restauro da parte di Venceslao Bigoni che, contrariamente al progetto originale, non si limitò al fissaggio dell'intonaco, ma bensì staccò la zona superiore dell'affresco. Tale intervento risulta significativo per capire le condizioni della pittura, che dovevano essere tanto gravi da giustificare un così radicale provvedimento. Bigoni reintegrò anche tutte le lacune del dipinto. Infine egli trattò la superficie dell'affresco con sostanze di origine animale, riscontrate anche nelle analisi compiute per l'ultimo restauro.

Nel 1911 la comparsa di sali e muffe sulla superficie del dipinto rese necessario un intervento per asportare i depositi di salnitro, mettendo in luce per la prima volta il serio problema delle infiltrazioni di umidità nella muratura, con ogni probabilità dovute all'assorbimento dal terreno per capillarità. La situazione avrebbe dovuto imporre urgenti interventi di risanamento, ma non se ne fece nulla in attesa dei progettati lavori per la ricostruzione del pavimento del Duomo, con i quali si sperava di eliminare il problema alla radice, ma ciò risultò poco efficace. Il restauratore Secondo Grandi, interpellato per una consulenza, suggerì di praticare opportuni tagli alla base del muro.

Nel 1916 divampò un incendio nella cappella, che fortunatamente provocò soltanto leggeri annerimenti nella parte centrale del dipinto, cioè nella zona del trittico, risparmiando il resto degli affreschi. Del nuovo restauro venne incaricato Secondo Grandi, il quale non volle rimuovere le ridipinture di Bigoni che, forse per paura di asportare, insieme alla sporcizia, le parti a secco con cui la pittura risultava finita, aveva pulito molto cautamente il dipinto, reintegrando poi le lacune. Grandi si risolse per attuare, limitatamente alla parte centrale, una leggera pulitura, curando al tempo stesso la possibile intonazione tra le varie parti del dipinto. Un altro problema risultò essere quello delle scarsa adesione dell'intonaco alla muratura; per questo il restauratore cercò, per quanto possibile con i mezzi a disposizione, di consolidare tali parti.

Nel 1940 Ludovico Ragghianti lanciò un grido d'allarme, insistendo sulla gravità delle infiltrazioni di umidità che pregiudicavano l'esistenza del dipinto e sottolineando la presenza, a suo parere deturpante, delle ridipinture ottocentesche, ma il suo appello rimase inascoltato.

Solo un avvenimento di grave entità come lo scoppio di una bomba in prossimità della porta dei Principi (13 maggio 1944) riportò all'attenzione le condizioni dell'affresco. Furono necessarie rapide opere di consolidamento, perché i danni risultarono ingenti. Di questo intervento si occupò il soprintendente Pietro Zampetti, mentre i successivi lavori di restauro vennero affidati ad Augusto Dallaglio e presero avvio nel 1946. Il restauro prevedeva il consolidamento dell'intonaco e del colore, la stuccatura delle lacune e la loro campitura con tinta neutra, la pulitura della superficie pittorica e l'eliminazione delle ridipinture dovute ai restauri precedenti. L'intervento risultò in ogni caso molto cauto e le ridipinture ottocentesche verranno rimosse completamente o ricoperte solo nel successivo restauro.

Nel 1961 l'intervento di Renato Pasqui si pose come obiettivo di cancellare tutte le ridipinture degli interventi precedenti, non rimuovendole, ma ricoprendole con tinta a corpo che riprendeva il colore dell'intonaco. Rimase irrisolto il problema delle infiltrazioni di umidità dal terreno, tanto che vennero praticate due serie di forature, una all'altezza del pavimento e una alquanto più in alto, poi eliminata.

Negli anni 1989/90 venne realizzato l'ultimo intervento di restauro, ampiamente illustrato nel presente lavoro.

Descrizione

L'affresco è racchiuso da una struttura architettonica in cotto (alta 11 metri) che funge da cornice, nella quale si apre un fornice che accoglie, nella parete di fondo, la parte più ampia del dipinto, che si estende anche all'intradosso dell'arco, alla fascia interna dei pilastri e alla lunetta superiore. Le membrature architettoniche sono decorate a motivi di ovuli, dentelli e fusarole, mentre il fastigio è coronato da rosette.

La parete di fondo accoglie la rappresentazione del Giudizio Universale, scalato su tre piani: nella parte alta il Paradiso con Cristo giudice in mandorla circondato dai beati, nella fascia centrale l'arcangelo Michele con la spada e la bilancia affiancato da quattro angeli che sonano le trombe, nella zona inferiore i risorti in attesa del giudizio. Al centro di quest'ultima raffigurazione è inserito un finto trittico contenente le immagini della Madonna col Bambino, di San Girolamo e di San Bernardino.

Nell'intradosso dell'arco sono dipinte otto figure di profeti a mezzo busto: a sinistra Malachia, Giacobbe, Isaia e Aronne, a destra Abacuc, Elia, Daniele e Davide. Nella fascia interna dei pilastri sono effigiati quattro santi: a sinistra Antonio da Padova e Caterina, a destra Sebastiano e Agostino. I due pennacchi ai lati dell'arco recano l'Angelo annunciante e la Madonna annunciata, mentre nella lunetta di coronamento figura la scena dell'Adorazione del Bambino, purtroppo gravemente rovinata.

Madonna con bambino, prima Madonna con bambino, dopo

Particolare: Madonna con bambino, prima e dopo il restauro

L'autore degli affreschi

Nell'Ottocento, quando gli affreschi tornarono nuovamente alla luce, venne indicato il nome di Francesco Bianchi Ferrari come probabile autore dell'opera, riferimento che poi cadde, e le successive attribuzioni dell'importante ciclo di affreschi si concentrarono sui nomi di alcuni artisti operanti a Modena nel terzo quarto del XV secolo: Agnolo e Bartolomeo degli Erri, Bartolomeo Bonascia e Cristoforo da Lendinara. Intervenendo nella questione con argomentazioni stringenti e sulla scorta di alcune illuminanti intuizioni di Carlo Volpe, Daniele Benati in un suo ampio e documentato saggio critico (3) ha assegnato l'intero ciclo di affreschi a Cristoforo da Lendinara. Tale artista, alla cui cultura la conoscenza di Piero della Francesca fornì un apporto fondamentale, è più noto come maestro nel campo della tarsia lignea, attività per la quale, spesso insieme al fratello Lorenzo, ricevette diverse committenze nell'Italia settentrionale e centrale. Nel Duomo di Modena si conservano testimonianze fondamentali di questa sua attività: il Coro dell'abside (1461/1465), eseguito con il fratello Lorenzo, i cui stalli sono decorati da immagini di vedute di città, figure di santi, frutti, libri e strumenti, e le quattro tarsie raffiguranti gli Evangelisti, opera del 1477 di Cristoforo. Della sua attività pittorica sono note la "Madonna della colonna", firmata e datata 1482, conservata nella Galleria Estense di Modena, e la piccola ancona con "L'adorazione del Bambino", restituita da Carlo Volpe a Cristoforo, nella collezione della Banca Popolare dell'Emilia Romagna.

Tecnica di esecuzione di un affresco

L'affresco è la principale tecnica di pittura murale. Essa consiste nel dipingere con colori sciolti in acqua e stesi sull'intonaco ancora fresco (4). Il risultato finale è che il colore non è più solubile in acqua, perché viene inglobato nella struttura cristallina del legante (calce) che rende solido l'intonaco. Ciò avviene attraverso la seguente reazione di carbonatazione:

Ca(OH)2 + CO2 ——> CaCO3 + H2O

(calce spenta)+(anidride carbonica)=(carbonato di calcio)+(acqua)

Perché ciò avvenga è necessario che l'intonaco sia composto da una soluzione acquosa di calce spenta e da sabbia che rende più solida la malta, favorendo un ulteriore intreccio coerente della struttura cristallina: si ottiene così una superficie compatta, di consistenza marmorea, che chiude in sé il colore. Per una buona riuscita è necessario che l'essicazione dell'affresco, cioè l'eliminazione dell'acqua, avvenga lentamente e uniformemente: il processo può dirsi completo quando tutta la calce si è trasformata in carbonato di calcio.

Un altro requisito fondamentale per l'esecuzione di un affresco è la preparazione del supporto, che deve essere regolarizzato con strati di intonaco uniforme per colore e levigatezza e perfettamente aderente alla struttura muraria. L'intonaco è composto da un legante (calce) e da materiale incoerente (sabbia, pigmenti, polvere di marmo, ecc.).

Importantissima è anche la rapidità di esecuzione che richiede la stesura dello strato dipinto, prima che sul supporto si formi un velo di carbonato di calce. Da ciò la necessità di calcolare con precisione la zona da dipingere, detta anche "giornata".

Per favorire l'aggrappo ottimale, il pigmento viene generalmente stemperato in acqua o in latte di calce per le affinità chimiche con l'intonaco. È pertanto indispensabile che i colori usati siano solubili in acqua e che non si alterino reagendo con il carbonato di calce. Per ottenere particolari effetti di colore, si procede con interventi di finitura a tempera (detti anche a "secco") e a calce (detti "mezzo fresco", perché stesi sull'intonaco asciutto).

La preparazione di un affresco è generalmente costituita da tre strati materiali: arriccio, intonaco e intonachino.

Grafico


L'arriccio è formato da una malta composta da parti di sabbia di fiume con granuli grandi, pozzolana e pietrisco in piccole quantità, più una parte di calce spenta e acqua. Deve essere steso sulla parete abbondantemente bagnata. Sull'arriccio, viene tracciato il disegno preparatorio (o sinopia) con argilla rossa o carboncino. L'intonaco è formato da calce spenta e sabbia fine, spesso unita a polvere di marmo. Viene applicato a "giornata", dopo aver bagnato l'arriccio. Le giunzioni delle giornate sono spesso evidenti perché creano bordi sovrapposti.

Il disegno preparatorio (eventualmente studiato tramite bozzetti) viene trasferito sulla parete da affrescare, tracciandolo con argilla rossa sciolta in acqua o con un carboncino oppure incidendo l'intonaco fresco con una punta. Un altro metodo è quello dello spolvero: eseguito il disegno sulla carta o sul cartone, questo viene forato con punta metallica sottile e fissato sullo spazio da dipingere ed infine trattato con tampone sporco di pigmento nero in polvere che attraverso i fori lascia il tratto impresso sulla parete.

Tecnica di esecuzione dell'affresco della Cappella Bellincini

Le seguenti notizie sono tratte dalla relazione tecnica del restauro ad opera di Carlo Barbieri (5).

Strati preparatori: arriccio e intonachino costituiti di sabbia e calce.

Tecnica del riporto del disegno: spolvero da cartone su tutta la superficie pittorica, ad esclusione di alcune figure che sono eseguite ad incisione da cartone.

Pellicola pittorica: eseguita a fresco con finiture a calce nei blu dei manti di S. Giuseppe e della Madonna e nei blu del fondo delle figure nelle pareti interna dei pilastri. Nei riquadri raffiguranti S. Sebastiano, S. Agostino e S. Caterina il blu è steso sopra un fondo di terra rossa. In questi punti il colore è diluito con latte di calce, indispensabile per la carbonatazione della superficie pittorica. Infatti il "buon fresco" è eseguito su una malta ancora bagnata, con colori in polvere diluiti in acqua. Durante l'essiccazione della malta l'idrossido di calce a contatto con l'anidride carbonica dell'ambiente si trasforma in carbonato di calcio (marmo puro), fissando così i colori. Il riquadro di fondo che raffigura il trittico con S. Girolamo, la Madonna col Bambino e S. Bernardino è eseguito a tempera grassa. Questa tecnica usa nell'impasto del colore, con le sostanze agglutinanti, rosso d'uovo e olio di papavero o di lino, allo scopo di ottenere la brillantezza del colore. La doratura delle aureole è stata eseguita a missione, cioè con una vernice particolare.

L'affresco prima del restauro

Le notizie sulle condizioni dell'affresco prima del restauro sono tratte dalla relazione tecnica sopra ricordata (5).

Strati preparatori: mancanza di adesione, fra intonaco dipinto e struttura muraria, estesa un pò ovunque e in modo più accentuato nelle zone interessate da trascorsi danni da infiltrazione di umidità (parte sinistra della lunetta del Presepe, arco dell'intradosso e parte superiore della parete di fondo del Giudizio Universale).

Pellicola pittorica: difetti di coesione della pellicola pittorica nella parte bassa dei dipinti (parete di fondo, trittico e anime in attesa di giudizio e nei fianchi di destra e di sinistra dei pilastri raffiguranti S. Agostino e S. Caterina) in corrispondenza a trascorsi danni di umidità di risalita. In questa zona sono presenti vistosi sbiancamenti da efflorescenze saline. Le parti staccate dal Bigoni appaiono più scure a causa di residui di colla rimasti dopo l'intervento. Vi sono inoltre due stacchi (probabilmente seguiti da Secondo Grandi nel 1916/18) in senso orizzontale nella parete di fondo, a destra e a sinistra (in corrispondenza delle ginocchia delle figure in attesa di giudizio) non perfettamente riusciti perché la superficie si presenta frammentata. Il testo pittorico si presenta poco leggibile a causa di annerimenti da fumigazioni di candele, ritocchi e fissativi alterati.

Diagnostica per il restauro

L'ultimo intervento di restauro, realizzato a cura della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Modena e Reggio Emilia (maggio 1989/settembre 1990), ha potuto avvalersi di numerose analisi preliminari. Tali analisi, eseguite dall'ENEA (tramite l'unità di Coordinamento per la Salvaguardia del Patrimonio Artistico) e dalla TECNO FUTUR SERVICE, hanno poi permesso l'utilizzo di tecniche di restauro più adeguate, meno invasive e conservative nel tempo.

Le indagini scientifiche preliminari al restauro degli intonaci e degli affreschi consentono di ottenere le seguenti informazioni: Le successive analisi e osservazioni sono ricavate dalle numerose indagini effettuate per il presente restauro (6).

Osservazione al microscopio da mineralogia a luce riflessa si preparati in sezione lucida trasversale

L'osservazione microscopica della luce riflessa è particolarmente utilizzata al fine di mettere in evidenza e documentare fotograficamente le caratteristiche morfologiche dell'intonaco di supporto e della successione microstratigrafica degli eventuali strati pittorici. Le osservazioni microscopiche devono pertanto essere effettuate su una sezione perpendicolare alla superficie dell'intonaco o del frammento di affresco, che sarà ottenuta ingoblando il campione in un blocchetto di resina, sezionandolo trasversalmente per abrasioni successive su un disco piatto rotante, fino a completa lucidatura. Ne risulterà una sezione lucida trasversale.

Esempio di sezione lucida trasversale

Esempio di sezione lucida trasversale

Per una sicura determinazione della natura dei pigmenti e dei vari componenti chimici, mineralogici ed organici, sono necessarie ulteriori analisi microchimiche da effettuare sulla sezione stessa, quali analisi alla microsonda elettronica (EDS), all'FT/IR (Spettro fotometria infrarossa a trasformata di Fourier) o microanalisi colorimetriche.

Le analisi all'EDS e all'FT/IR sono senz'altro da preferire in quanto si eseguono strumentalmente e i risultati sono obiettivi e ripetibili.

Il principio su cui si basano, invece, le microanalisi colorimetriche è la realizzazione di reazioni chimiche, condotte con l'ausilio del microscopio, accompagnate da colorazioni caratteristiche, formazione di cristalli o manifestazioni di particolari fenomeni che permettono l'identificazione di molti materiali organici o inorganici utilizzati nel restauro. Possono pertanto generarsi confusioni ovviabili, ma non sempre eliminabili del tutto.

L'analisi all'EDS permette di determinare la composizione elementare di un'area di pochi micron quadrati, ovvero di identificare con certezza gli elementi chimici che la costituiscono.

L'analisi all'FT/IR viene effettuata soprattutto per la determinazione di sostanze organiche, ma in realtà permette di identificare quasi tutte le sostanze in ogni stato di aggregazione (vernici, adesivi, leganti, pigmenti) e richiede quantità minime di campione per cui i prelievi vengono effettuati mediante micromanipolazioni al microscopio con appositi utensili.

Osservazione al microscopio da mineralogia a luce trasmessa su preparati in sezione sottili trasversali

Questa tecnica microscopica è determinante per le caratterizzazioni mineralogico/petrografiche dell'intonaco.

Si basa sull'osservazione al microscopio da mineralogia di sezioni sottili di frammenti di intonaco.

Le determinazioni ottiche che si possono effettuare con questa tecnica sono molto più precise dell'osservazione in luce riflessa e permettono di identificare con sicurezza i costituenti cristallini fondamentali dell'intonaco, individuando con precisione la struttura, le caratteristiche del legante e delle carica, la granulometria, la porosità e il rapporto carica/legante. Anche in questo caso per dubbi o difficoltà si potrà ricorrere alle analisi strumentali o microchimiche precedentemente descritte.

Studio chimico stratigrafico su vari campioni di intonaco

    ANALISI CHIMICHE MICROSCOPIA
Sigla Camp. Tipo di prelievo I.R. Sali solubili Microsonda Sezione sottile Sezione lucida Foto diapositiva
MDM1 Scaglie rossastre X   X   X X
MDM2 Intonaco con rosso superficiale     X   X X
MDM3 Scagliette grigie/azurre X X X      
MDM4 Scagliette dorate     X      
MDM5 Intonaco grigio/azurro     X OSSERVAZIONI STEREOMICROSCOPICHE
MDM6 Intonaco con nero superficiale X   X X X X
MDM7 Intonaco con nero superficiale     X   X X


Sigla Zona prelievo Carbonato di calcio Ossalato di calcio Gesso Sostanze organiche
MDM1 scaglia - - - +++
MDM3 Patina superficiale ++ Tr. ++ -
MDM6 Patina superficiale nera ++ + ++ -


La sostanza organica rilevata nel campione 1 è attribuibile ad una miscela di olio di lino e resina naturale, probabilmente mastice.

Nei campioni 3/6 il carbonato di calcio è attribuibile al supporto (carbonatazione), il gesso deriva dalla solfatazione del carbonato di calcio, la presenza nel campione 6 di silicati è da mettere in relazione ai depositi polverosi ed infine l'ossalato di calcio è causato dal degrado di colle animali.

  Conducibilità
us/cm a 20°
Sali totali % SO4 % Cl % NH4 % NO2 NO3 %
MDM3 218 15.00.00 +++ - - - -


Dai dati risulta un'elevata quantità di sali che é necessario estrarre soprattutto perché si tratta di solfati che sono tra i sali più dannosi. Essi derivano dalla solfatazione del carbonato di calcio nell'intonaco.

Osservazioni in sezione lucida corredate da analisi microchimiche multielementari all'EDS

MDM1

Strato di supporto giallognolo costituito essenzialmente da resina naturale, probabilmente mastice. Nella resina si trovano ingoblati numerosi cristallini di quarzo. Segue uno strato giallo avente la seguente composizione elementare: Silicio, Alluminio, Ferro, Calcio e Zolfo attribuibile ad ocra gialla e poco gesso di origine presumibilmente secondaria. Si nota la presenza di un legante organico di colore bruniccio identificato come olio di lino. Seguono residui di un colore rosso abbastanza carico a base di ocra rossa con presenza di ferro e poco silicio e alluminio.

MDM2

Strato di supporto costituito da un intonaco a base di calce ed inerti di varia natura silicatica e carbonatica. Segue uno strato di colore rosso carico a base di ocra rossa. Presenza di Calcio, Ferro, Silicio, Alluminio e Zolfo con presenza di poco gesso.

MDM4

Strato di supporto costituito da un intonaco a base di calce ed inerti di varia natura silicatica e carbonatica. Si nota anche la presenza di qualche frammento di coccio pesto.

Segue uno strato di colore verde/azzurro caratterizzato da grosse particelle rotondeggianti di pigmento verde frammiste a placchette biancastre e dalla presenza di un legante organico di colore bruniccio ed aspetto oleo/resinoso.

Composizione elementare: Rame e Piombo con tracce di Calcio, Zolfo, Silicio, Alluminio, Potassio e Cloro. Lo strato risulta formato da verderame (acetato basico di rame) e biacca (bianco di piombo) con impurezze di polvere silicatico/carbonatica, poco gesso e tracce di sali di origine secondaria formati da cloruri di natura imprecisata.

Successivo strato di preparazione a base di gesso e poca colla presumibilmente di caseina. Segue un altro strato di colore bruniccio con la medesima composizione del precedente. Ultima una sottilissima foglia d'oro.

MDM5

Il campione risulta formato da minute scagliette di colore bianco e grigio azzurro. Sulla superficie azzurra si notano numerosi cristallini di pigmento frammisti ad un legante organico imbrunito. Presenza soprattutto di rame con piccole quantità di Calcio, Zolfo, Cloro, Silicio, Alluminio, Potassio e Magnesio. La superficie grigio/azzurra risulta pertanto costituita da azzurrite mista ad impurezze di polvere e a minute efflorescenze di gesso e cloruri.

MDM6

Campione costituito da un impasto formato da uno strato di intonachino e da un sottile strato nerastro superficiale. La stratigrafia mostra un primo strato di intonaco di colore giallognolo con punteggiature bianche, rossastre, grigie e nere. Successivamente troviamo quarzo in cristalli singoli e in associazioni policristalline che precedono frammenti di rocce a composizione calcarea (trovato enche un frammento di coccio pesto). È presente qualche raro cristallo di muscovite e di feldspato seguito da un sottile strato bruno/nerastro di aspetto resinoso costituito da ossalato di calcio misto a gesso, particelle nere di carbone e inclusioni di ocra rossa. Presenza di Calcio, Zolfo, Allumini, Ferro, con tracce di Fosforo. Presenza di residui d colla di Caseina. L'Ossalato di Calcio deriva dall'alterazione della Caseina.

MDM7

Stratigrafia: strato di supporto costituito da un intonaco a base di calce ed inerti di varia natura silicatica e carbonatica.

Segue uno strato a base di calce e polvere di marmo.

Strato successivo costituito da Ossalato di Calcio misto ad una fitta punteggiatura di fini particelle carboniose e da qualche inclusione di Ocra rossa.

Segue uno strato giallo caratterizzato da grosse inclusioni di ocra gialla frammiste a particelle di nero carbone e a qualche inclusione di ocra rossa. Composizione: Calcio. Zolfo, Ferro, Silicio, Alluminio con tracce di Fosforo. Presenza di gesso e residui di colla Caseina.

Analisi dell'umidità entro la muratura

L'esame dei valori rilevati all'interno indica una forte presenza di umidità che decresce verso l'alto per esaurirsi a metà affresco. Risulta sempre in aumento il grado di umidità della superficie verso l'interno del muro: la forma a cuspide del fronte umido in sezione è indice di attività di risalita.

Rilevazione Umidità

Rilievo dell'umidità nella muratura (1989)

Un'interpretazione riguardo la parete esterna appare priva di significato in quanto essa risulta eterogenea fisicamente essendo costituita da blocchi di diverso materiale aventi caratteristiche di assorbimento molto differenti. Inoltre il parametro esterno è sottoposto all'influenza degli agenti atmosferici. È comunque individuabile una scala di intensità dell'umidità presente sempre caratterizzata da decremento verso l'alto.

Il confronto delle mappe di umidità pone in evidenza due caratteristiche: la prima è la presenza di un fronte umido di origine ascensionale e di un suo movimento nel tempo (i valori subiscono una flessione durante il rilievo invernale per poi riportarsi sui livelli di partenza); la seconda è l'indicazione di un nucleo di maggiore intensità dell'umidità ascensionale individuabile dal confronto tra mappa interna ed esterna.

Per quanto concerne il fenomeno della condensa, dai dati rilevati non sono emerse situazioni pericolose. Il rilievo della contaminazione salina ha indicato una lieve presenza di sali in superficie (solfati riconducibili a gesso che derivano dalla solfatazione del carbonato di calcio e ammonio causato dai lavaggi con carbonato d'ammonio) che rappresentano uno degli aspetti più devastanti dell'umidità ascensionale.

In conclusione il quadro patologico certificato dalle mappe di umidità mette in evidenza una continua ed intensa attività dell'umidità di risalita.

Metodo delle correnti indotte

Il metodo a Correnti indotte (ET) si basa sull'analisi delle variazioni che si verificano in un campo elettromagnetico, generato da correnti alternate, quando esso viene attraversato da materiali conduttori.

Una bobina percorso da corrente genera un campo elettromagnetico le cui linee di forza tendono a richiudersi su se stesse attraverso il percorso che offre il minor dispendio di energia. La vicinanza di un metallo a tale campo crea un percorso preferenziale, variando così il circuito equivalente della bobina. Con l'utilizzo di opportune apparecchiature è possibile risalire al tipo di materiale interferente.

Per ottenere la massima sensibilità il percorso in aria delle linee di forza deve essere ridotto al minimo.

Risultato delle analisi con correnti indotte

L'indagine effettuata su tutta la superficie dell'affresco non ha evidenziato presenze di corpi metallici al di sotto dell'intonaco. Sulla facciata esterna del Duomo, in corrispondenza del dipinto sono stati individuati numerosi chiodi conficcati tra i blocchi di pietra che non hanno consentito di conservare le risultanze degli esami effettuati all'interno.

Metodo termografico

Il metodo termografico (TH) si basa sull'analisi delle emissioni di energia termica di una superficie.

La mappatura termica di un corpo può essere eseguita con continuità o per punti, utilizzando la conduzione diretta del calore tra corpo in esame e sensore (metodo a contatto) o captando le radiazioni, emesse o riflesse, provenienti dal corpo in esame (metodo a distanza).

Le tecniche utilizzate per indagini termografiche si dividono in due gruppi: quelle che sfruttano l'emissione dell'energia interna dell'oggetto in analisi (emissione) e quelle che richiedono sollecitazioni termiche dall'esterno (assorbimento).

L'emissione viene utilizzata quando l'oggetto in analisi ha, internamente, sorgenti esotermiche differenti o se lo stesso presenta internamente zone con capacità termica o conducibilità differenti e si trova ad una temperatura diversa da quella dell'ambiente.

Nel primo caso interessa indagare sulla regolarità sia delle intensità che della distribuzione delle emissioni (ogni deviazione è sintomo dell'esistenza di una situazione anomala).

Nel secondo caso interessa indagare o sull'omogeneità interna o su variazioni di stato interne.

L'assorbimento viene usato o quando l'oggetto in analisi presenta internamente zone con capacità termica o conducibilità differenti e si trova ad una temperatura omogenea oppure se si vuole rilevare la mappa delle remissività superficiali di zone con basso coefficiente di remissività o che non abbiano sicuramente temperature omogenee.

Nel primo caso interessa indagare su discontinuità interne che alterano l'indipendenza termica del soggetto favorendo così alcuni percorsi del flusso energetico e quindi l'insorgere i temperature superficiali anomale rilevabili.

Nel secondo caso interessa indagare l'uniformità dei coefficienti di remissività in condizioni operative che non consentono una distribuzione omogenea delle temperature nell'area in esame.

L'indagine per il rilevamento dell'umidità è stata condotta riprendendo, senza eccitazione termica esterna, le stesse aree con i due sistemi termovisivi; il confronto delle emissioni nelle due bande, consente di individuare le zone con i rapporti di emissione tipici delle zone umide.

Il sistema termovisivo presenta le immagini in bianco e nero con 256 livelli di grigio e con una risoluzione di circa cento punti. Esso pur fornendo una buone descrizione generale del fenomeno termico in esame, non consente una agevole discriminazione dei livelli di emissione e tanto meno delle temperature; esse devono essere calcolate in base alle emissioni rilevate considerando anche alcuni parametri fisici del soggetto e dell'ambiente. Per consentire una più immediata valutazione, le immagini possono essere elaborate mediante calcolatore e presentate con la tecnica dei falsi colori; con essa i 256 livelli di emissioni termiche o di temperature vengono suddivisi in un numero minore di bande, 16 o 32, ad ognuna delle quali viene associato un colore diverso. Questa tecnica rende più immediata la "lettura" dell'immagine ma ne riduce la risoluzione. Per questo motivo ogni zona viene presentata con due immagini. Sulla destra di ogni figura è presente una scala cromatica contenente, dal basso verso l'alto, le sfumature di grigio od i colori corrispondenti ai livelli di emissione in senso crescente. Il rosa corrisponde al massimo livello, cioè al livello di saturazione.

Nell'analisi termica dell'affresco, non interessa tanto la conoscenza dei valori delle temperature quanto dei gradienti termici relativi fra i punti dell'area esaminata.

Esempio di analisi con termografia

Esempio di analisi con termografia

Risultato delle analisi con termografia

Sul muro di supporto dell'affresco non e rilevabile alcuna traccia di infiltrazioni di acqua o di umidità. Ciò indica per la parte inferiore che le opere compiute sulla piazza all'esterno sono state risolutive; per la parte alta non è possibile la stessa conclusione, per gli interventi effettuati al tetto, poiché il lungo periodo di siccità potrebbe aver dato tempo al muro di asciugarsi completamente.

Il muro di supporto dell'affresco risulta omogeneo.

Si riscontra un'elevata percentuale di oro nella composizione del colore utilizzato per alcuni particolari (aureole dei santi, elsa della spada e piatti della bilancia).

Il restauro

Le notizie relative al restauro sono tratte dalla relazione tecnica già citata (5).

Strati preparatori: risarcimento dei difetti di adesione fra intonachino e struttura muraria con iniezioni di una resina acrilica in emulsione (Primal AC33), caricata con inerte (farina fossile); rimozione delle malte cementizie, che nella parte bassa dei dipinti non lasciavano prosciugare dall'umidità il supporto murario.

Pellicola pittorica: risarcimento dei difetti di coesione con successive stesure di una resina acrilica in soluzione (Paraloid B72) di diluente nitro. Questa operazione è stata eseguita sulle parti con trascorsi danni da umidità di risalita, dove era avvenuto, causa la cristallizzazione di sali, l'impoverimento della carbonatazione della pellicola pittorica;

rimozione degli strati di polveri superficiali con acqua distillata;

rimozione dei fissativi alterati con diluente nitro;

rimozione delle ridipinture con una miscela solvente a pH basico in acqua distillata (soluzione satura di carbonato d'ammonio e del sale disodico dell'acido diamminotetracetico) mantenuta a contatto con più fogli di carta giapponese. È stato necessario ripetere la pulitura con pasta di legno nel riquadro staccato dal Bigoni nel 1898/99, a causa delle alterazioni dei residui di colle organiche non perfettamente rimosse.

La pulitura del trittico, dipinto a tempera, è stata eseguita con una miscela solvente di dimetilformammide e diluente nitro.

Rimozione delle stuccature a malta con mezzi meccanici. La parte sinistra della lunetta dove era raffigurata la Madonna, ridipinta nel restauro di Bigoni, è stata strappata prima della rimozione della stuccatura.

Stuccatura

Sono state eseguite due tipi di stuccature: una a livello, con malta di calce, sabbia e polvere di marmo, in tutta la superficie dei dipinti; l'altra a sotto livello nelle lacune di profondità, in corrispondenza ai trascorsi danni di umidità di risalita.

Reintegrazione

Effettuata a velatura nelle mancanze di patina, nei punti interessati da trascorsi danni di umidità di risalita, ovvero dove è stato favorito il processo di decoesione della pellicola pittorica.

Effettuata ad abbassamento di tono delle lacune della pellicola pittorica, nei punti dove non è stato necessario intervenire con la stuccatura.

La reintegrazione è stata effettuata con colori all'acquerello ed in alcuni casi, dove la malta scura affiorava sui toni chiari impedendo una corretta lettura del testo, è stata effettuata con matite a pastello acquerellabile.

Fissaggio

Non è stato effettuato alcun fissaggio finale perché si è ritenuto non indispensabile, a lavoro ultimato, aggiungere dei fissativi che avrebbero potuto creare in futuro problemi di irreversibilità e di alterazioni, e che comunque non avrebbero fissato la pellicola pittorica più di quanto non sia stato fatto durante i lavori di restauro.

Prima del Restauro Dopo il Restauro

Prima e dopo il Restauro

Osservazioni

L'affresco della Cappella Bellincini si trova attualmente in condizioni discrete soprattutto grazie al risanamento effettuato con l'ultimo restauro (1989/90).

Gli interventi compiuti sul dipinto hanno eliminato diversi elementi deturpanti per lo stesso quali le abbondanti infiltrazioni di umidità e la presenza delle colle animali usate in passato che, col tempo, ne rovinavano la superficie. Ricordiamo che le condizioni dell'affresco sono in relazione con la qualità dell'aria, ma sicuramente, trovandosi esso all'interno del Duomo, ne risente solo in parte. Ciò che più mette a rischio l'integrità del dipinto è sicuramente l'alta percentuale di umidità dell'aria, alla quale però è difficile porre rimedio a causa del clima modenese.

NOTE

1. Le notizie sulla storia della cappella sono state ricavate dai documenti pubblicati da O. BARACCHI, Regesto ragionato dei documenti, in D. BENATI, La Cappella Bellincini nel Duomo di Modena, Modena, 1990, pp. 32/38.

2. Le notizie relative ai restauri del passato sono state ricavate da A. M. QUARTILI, La Cappella di San Bernardino nel Duomo di Modena: vicende critiche e di restauro fra Ottocento e Novecento, in D. BENATI, cit., pp. 39/50.

3. D. BENATI, Cristoforo da Lendinara pittore, in D. BENATI, cit. pp. 10/31.

4. Le notizie sulla tecnica dell'affresco sono state ricavate dall'opuscolo della mostra Palazzo Ducale di Sassuolo/Cantiere aperto, 25 settembre/21 novembre 1999.

5. C. BARBIERI, Relazione tecnica del restauro della Cappella Bellincini, in D. BENATI, cit., pp. 61/67.
6. R. CONTI ­ ENEA, Analisi e osservazioni scientifiche ­ 1, e TECNO FUTUR SERVICE, Analisi e osservazioni scientifiche ­ 2, in D. BENATI, cit., pp. 52/60.





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