Warning: include(../inc_header.php) [function.include]: failed to open stream: No such file or directory in /progetti/progetto0304dd.php on line 1

Warning: include() [function.include]: Failed opening '../inc_header.php' for inclusion (include_path='.:/usr/local/lib/php') in /progetti/progetto0304dd.php on line 1

LA SINAGOGA DI MODENA

Cenni storici

Il primo documento che testimonia la presenza di ebrei in Modena risale al 1311, anno in cui il Sinodo di Ravenna estese anche a loro l'obbligo di portare un segno di riconoscimento a forma di cerchio giallo. La loro esistenza in città, però, sarebbe ancora più antica, risalendo al 1025 (1). Gli Estensi, signori di Modena dal 1288, erano tradizionalmente tolleranti nei riguardi degli ebrei, che per questo motivo si stabilirono numerosi nelle loro terre. Nel 1451 il Duca Borso D'Este ottenne dal papa una bolla che permetteva agli ebrei di risiedere nei territori del ducato e, successivamente, Ercole I consentì la costruzione di oratori e sinagoghe. Quando nel 1598 Modena divenne capitale del Ducato Estense, molti ebrei seguirono la corte, potendo così godere di una libertà maggiore rispetto a quelli rimasti sotto il governo pontificio. Solo nel 1767 a Modena fu proibito il prestito esercitato dagli ebrei, mentre altrove fu abolito alla fine del XVII secolo. Nonostante ciò, essi dovettero comunque subire imposizioni di vario genere, come ad esempio l'obbligo di seguire prediche coatte in Duomo, pena la frusta per chi cercava di sottrarsi, e i processi del tribunale dell'Inquisizione.

Nella storia secolare dell'antisemitismo, le prime discriminazioni nei confronti degli ebrei risalgono all'epoca tardoantica (2). L'imperatore Costantino, dopo aver concesso libertà di culto ai cristiani (313 d. C.), prese nel 315 i primi provvedimenti contro gli ebrei, vietando i matrimoni con i cristiani e la costruzione di nuove sinagoghe. La legislazione discriminatoria nei loro confronti fu successivamente potenziata e recepita integralmente nel Corpus Iuris Civilis di Giustiniana (528/534).

Intorno all'anno 1000 in tutti i paesi cristiani vennero istituite le "Corporazioni di arti e mestieri", per appartenere alle quali bisognava professare la fede cristiana. Gli ebrei, esclusi da ogni altra attività, furono spinti verso l'unica professione proibita ai cristiani: quella di banchieri. Dopo il III Concilio lateranense (1179), che negava sepoltura cristiana a chi prestava denaro a interesse, esercitare il credito divenne una scelta obbligata per gli ebrei, sottoposti a molteplici persecuzioni anche negli anni precedenti il concilio: costretti spesso a fuggire dai luoghi ove si trovavano, e non potendo trasportare ovviamente beni immobili, ma solo denaro liquido, non poterono fare altro che trasformarsi in prestatori di denaro. La residenza nelle città e nei villaggi italiani era regolata da un contratto chiamato "condotta", in base alla quale il Comune o il Signore della città garantiva agli ebrei la residenza e la libertà di culto in cambio della loro attività e del pagamento di forti tasse, detratte dai loro proventi. I contratti erano rinnovabili, ma erano frequentissimi i casi di espulsione dalla città al momento della scadenza. Un ulteriore segnale della volontà delle autorità di discriminare gli ebrei dai cristiani si ebbe nel 1215, quando il IV Concilio Lateranense prescrisse agli ebrei il contrassegno di stoffa gialla. Un peggioramento delle loro condizioni si ebbe nel 1348, con la diffusione in Europa di una terribile pestilenza: gli ebrei, che avevano nelle loro comunità un numero minore di vittime a causa della segregazione e di particolari norme igieniche, vennero accusati di avvelenare i pozzi per diffondere il contagio ed individuati, nell'ignoranza della superstizione religiosa, come capri espiatori. L'accusa provocò sanguinose persecuzioni soprattutto in Germania, con la conseguente fuga di ebrei tedeschi verso le comunità dell'Italia settentrionale.

Successivamente il Concilio di Costanza del 1414 ribadì l'obbligo del marchio giallo per gli ebrei: un cappello per gli uomini, un velo per le donne. La situazione si deteriorò ulteriormente a causa della costante predicazione antiebraica da parte degli ordini francescano e domenicano: mentre Bernardino da Siena insisteva sulla necessità di confiscare agli ebrei tutti i denari accumulati con l'usura, Giovanni di Capestrano ne fece condannare molti al rogo. Nel 1492 Isabella di Castiglia e Ferdinando il Cattolico firmarono l'editto di espulsione degli Ebrei dalla Spagna e nello stesso anno anche dalla Sicilia e dalla Sardegna, appartenenti allora alla corona spagnola. Nel 1555, il papa Paolo IV Carafa, poco dopo la sua elezione (precisamente il 12 luglio) emanò la bolla Cum nimis absurdum, che imponeva agli ebrei la segregazione nei ghettì (legittimando formalmente una pratica ormai diffusa in Europa), la proibizione ad avere beni immobili, il divieto assoluto di parlare con cristiani se non per motivi di lavoro, la proibizione ai medici ebrei di curare cristiani, il permesso di esercitare il solo mestiere di cenciaiuoli ed infine la proibizione di avere nutrici e domestici cristiani.

Adempiendo con un certo ritardo alla suddetta bolla papale del 1555, Francesco I Duca D'Este decretò il 23 marzo 1638 che gli ebrei dovessero essere rinchiusi all'interno di un'area che delimitasse le case loro assegnate dai Deputati, entro la data del 3 maggio dell'anno corrente.

"...Il signor Duca..., conoscendo essere inconveniente, ch'i Giudei habitassero mescolati con i Christiani per più rispetti, gli ridusse tutti in due contrade, e con i suoi Portoni, sopra i quali evvi l'Arma Estense, e ve li serrò dentro... Et tal serraglio nomossi Ghetto."

Con queste parole Ludovico Vedriani ci tramanda l'istituzione del ghetto modenese nella sua Historia dell'antichissima città di Modona.

Nel 1670 la Grida sopra gli Ebrei così precisava le caratteristiche di segregazione del ghetto stesso:

"...Dovendo tutti gli ebrei abitare di stanza dentro il recinto del luogo destinato, non sarà lecito a qualsivoglia ebreo o ebrea di qualunque età e condizione si sia habitare altrove fuorché nel ghetto... A niun ebreo o ebrea sarà lecito avere in casa uscio , finestra o buco per dove si possa uscire dal ghetto... Le finestre che hanno il prospetto fuori dal ghetto dovranno avere le ferrate..."

Il primo nucleo del ghetto interessò due strade perpendicolari alla via Emilia, allora Strada Maestra, e precisamente via Coltellini (dal cognome di un casato che vi aveva risieduto nel XIV secolo, detta anche dei Macari, dal nome di una famiglia di orefici ebrei) e via Blasia, citata come contrada del Sole nel Seicento. Fra le suddette vi era poi un vicolo angusto di collegamento. Vennero apposti cancelli e portoni agli sbocchi delle strade, chiusi alla sera e aperti al mattino ad orari stabiliti, essendo vietato agli ebrei di rimanere fuori dal ghetto nelle ore notturne. Della chiusura e dell'apertura delle cancellate si occupava un "portonaro" cristiano stipendiato dalla comunità ebraica, che doveva risiedere in prossimità del ghetto. Le porte del ghetto erano provviste di timpano sorretto da colonne su cui, in lastre di marmo carrarese, Francesco I aveva fatto incidere le seguenti epigrafi:

"FRANCISCUS PRIMUS MUTINAE DUX VIII. CHRISTIANAE PIETATIS STUDIO HEBRAEOS INTER HUIUS REGIONIS SEPTA CONCLUSIT" e "OPTIMO PRINCIPI, QUOD A CHRISTIANIS JUDAEOS SEGREGAVIT ANNO 1638".

Il ghetto modenese fu ricavato in uno dei settori centrali della capitale estense, non lontano dalle sedi del potere: sulla vicina Piazza Grande la Residenza Comunale, il Duomo e il Vescovado, a nord, più in là di un isolato, il Palazzo Ducale. In prossimità del ghetto sorgevano inoltre il tempio di S. Domenico e quello di S. Giorgio, quasi per esorcizzare la presenza ebraica: era infatti consuetudine collocare una chiesa o una cappelletta o un dipinto sacro nelle vicinanze dei ghetti. La zona che venne adibita a ghetto era già da tempo abitata prevalentemente da ebrei, come testimoniano i nomi delle strade: "del Sole", di "Daniel Machari" e altre di tipica origine israelitica. Benché la zona accogliesse molte famiglie israelite, 336 cristiani dovettero abbandonare le proprie case e prendervi posto 256 ebrei, che risiedevano anche in altri luoghi della città, da cui si trasferirono, spostando all'interno del ghetto i loro negozi e le loro attività. La sistemazione delle botteghe e l'alloggiamento delle merci avvennero con difficoltà, date le dimensioni ridotte del quartiere, tanto che alcuni negozi, inizialmente, dovette rimanere fuori dalle mura del ghetto per un certo periodo. È proprio per tale mancanza di spazio che il ghetto crebbe maggiormente in altezza. Le abitazioni presentavano cosi bassi soffitti e molti piani. L'edilizia del ghetto fu prevalentemente popolare. Le abitazioni presentavano facciate modestissime, con portoni di dimensioni esigue, talvolta abbellite con piccole porte/finestre. Elementi frequenti nell'architettura del ghetto erano i porticati, in seguito demoliti, che costituivano il prolungamento esterno dei negozi di straccivendoli e robivecchi, e i cosiddetti sporti d'ascendenza medievale che emergevano dai muri perimetrali. Praticamente assente era la presenza di costruzioni riconducibili alla tipologia di "palazzo", fatta eccezione per gli stabili su via Emilia. Un esempio è l'edificio all'angolo di piazza Mazzini, definito nel Seicento "Casa di Fiorantino Ebrei" e successivamente di proprietà Levi, che tuttora conserva arcate di stile gotico nell'attacco del portico, pilastri e colonne in laterizio, con capitelli lapidei cinquecenteschi. Rara era anche l'edilizia di tipo borghese, presente in un agglomerato ora non più esistente nella piazzetta del ghetto. Presentava finestre del diciottesimo secolo, con balaustrate metalliche.

Il ghetto modenese era caratterizzato da strade lunghe e strette, soffocate da alti edifici, anguste, in cui le condizioni di vita erano spesso disagiate e insalubri. Successivamente, tale area divenne così densamente abitata che fu necessario un ampliamento. Al primo agglomerato di case, appartenenti al nucleo originario del ghetto, venne poi aggiunta una serie di altre abitazioni. Furono così inglobati vicolo Squallore nel 1724 (comunicante con la parallela via Blasia tramite una grande volto conservatosi fino ai primi del 900), e in un secondo tempo (1783) il gruppo di abitazioni adiacenti a quelle di via Coltellini. L'area finale del ghetto fu quella compresa fra via Emilia, Via Taglio, vicolo Squallore e via Torre. Il periodo fine Settecento/Ottocento fu di fondamentale importanza per la vita del ghetto: le porte che lo separavano dal resto della città furono aperte attorno al 1796 all'arrivo dei francesi, e richiuse poi con la Restaurazione austro-estense del 1815. Nel 1859, grazie all'annessione al regno piemontese, i cancelli del ghetto vennero definitivamente abbattuti. A ricordarne l'esistenza rimane tuttora un piccolo cardine all'inizio di via Taglio. Nella sua Guida di Modena del 1841 il Sossay ricordava nove sinagoghe adibite all'esercizio della religione ebraica presenti nel ghetto: erano luoghi di preghiera e di culto ricavati nelle abitazioni degli ebrei ivi residenti. Alla fine del secolo precedente, secondo il Valdrighi, esistevano quindici confraternite o compagnie che riunivano gli ebrei modenesi, la più antica risalente addirittura al 1597. Nella seconda metà dell'Ottocento, si contavano nel ghetto almeno quattro oratori: quello tedesco, uno detto della "Scuola piccola", nel versante abbattuto di via Coltellini, l'oratorio di rito spagnolo della famiglia Formiggini ed infine la "Scuola Grande", anch'essi siti in via Coltellini. Spesso la sala di preghiera era collocata ai piani più alti, sia per il significato spirituale di accostamento al cielo, sia per trovare luoghi appartati per il culto.

Nei primi anni dell'Italia unita, dopo che i cancelli del ghetto erano stati definitivamente abbattuti, il 29 giugno 1869 venne presentato alla Commissione d'Ornato del Comune di Modena (l'organo che sovrintendeva all'edilizia cittadina) il disegno della nuova sinagoga che doveva sorgere nel cuore del ghetto (3). Il progetto era firmato dall'ingegnere modenese Ludovico Maglietta Pollari (1829/1890), che, dopo l'ideazione del Tempio, si dedicò alla realizzazione di diverse linee ferroviarie, rimanendo la sinagoga l'unico suo esempio di progettazione civile a tutt'oggi conosciuto, e di non poco impegno data la scarsità di modelli di questa particolare tipologia edilizia. Dal punto di vista del linguaggio architettonico, il Pollari trasse spunto da diversi edifici realizzati in Modena dall'ingegnere, architetto Cesare Costa, di cui era stato allievo durante il corso di studi e poi collaboratore nel cantiere del Cimitero Monumentale di San Cataldo. Secondo il progetto, la Sinagoga si presentava come un sobrio edificio di tre piani, incluso quello terreno, sovrastato da un tiburio per contenere la cupola. La facciata principale doveva essere quella su via Coltellini, perché per esigenze di culto il Tempio doveva essere orientato in direzione di Gerusalemme; si distingueva pertanto dalle altre (sulla piazzetta e su via Blasia) per una certa monumentalità, espressa da quattro giganti semicolonne con capitello poggianti su una breve gradinata e sovrastate da un'alta trabeazione con timpano triangolare. Per dare maggior spazio e luce a tale facciata, in preparazione al cantiere, la Comunità ebraica chiese anche di poter abbattere un piccolo portico su via Coltellini e, dopo l'approvazione del progetto, presentò il 3 novembre una richiesta di modifica riguardante il prospetto sulla piazzetta, che si voleva identico per disegno e decorazione a quello della facciata principale di Via Coltellini. I due lati dell'edificio vennero pertanto realizzati sulla base del medesimo disegno, ma l'ingresso principale rimase quello su via Coltellini, perché solo quel portone d'ingresso immetteva direttamente nella sinagoga. Il ricco apparato decorativo fu eseguito da Ferdinando Manzini (Modena 1817/1886), aiutato dal suo giovane allievo Andrea Becchi (Carpi 1849 / Modena 1926), con il concorso anche di una équipe di scagliolisti di indubbia perizia. Grazie al contributo dell'intera comunità ebraica e in particolare del facoltoso Mosé Isacco Sacerdote, la sinagoga poté così sorgere e fu inaugurata il 19 dicembre del 1873 con una cerimonia solenne, alla presenza di parecchie autorità e con folto concorso di cittadini.

La sinagoga nel 1905

La sinagoga dopo il 1905

Nel 1903 il Comune decise di procedere al risanamento urbanistico dell'area del ghetto prospiciente la Via Emilia; negli anni 1904/1905 fu abbattuto l'isolato compreso tra Via Blasia e Via Coltellini, creando così un'area pubblica : Piazza della Libertà, come era stata chiamata in precedenza per significare la fine della discriminazione. L'area antistante il Tempio cosà ricavata permise di valorizzare ulteriormente la seconda facciata monumentale della sinagoga, che funge tuttora da fondale scenografico della piazza (nel 1911 denominata Piazza Mazzini), che si apre lungo la via Emilia, in uno dei punti più significativi della città, a fronte del complesso del Palazzo Comunale.

Grazie ai recenti lavori di pulitura e restauro delle facciate, portati a termine nel 1995 a cura della Soprintendenza per i beni artistici e storici di Modena e Reggio Emilia, la Sinagoga "risorge" così nel cuore di Modena, riassumendo in sé la memoria storica della comunità ebraica della città e testimoniando il suo riscatto dopo secoli di emarginazione.

Descrizione e materiali utilizzati
Nel corso della realizzazione architettonica della sinagoga, il progetto originario presentato alla Commissione d'Ornato subì significative varianti: il grande portale, che era previsto con arcata a tutto sesto, venne architravato e coronato da una lunetta a rilievo, mentre la sagoma delle finestre e degli accessi esterni ai settori mediani, rettangolare nel disegno, vide l'inserimento di archi a tutto sesto o ribassati; furono aggiunte bellissime vetrate a motivi geometrici e, in generale, tutta la parte decorativa venne arricchita, con una particolare cura per la policromia delle superfici, che, non contemplata nel progetto, divenne una specifica caratteristica dell'edificio. Il monumento attuale, infatti, rivela una palese componente eclettica, che si esprime soprattutto nell'apparato decorativo e nel cromatismo, innestata su una struttura decisamente classicistica, derivata dal repertorio rinascimentale, che era maggiormente evidente nel sobrio progetto originario. È un edificio a tre piani, sormontato da un tiburio che contiene la cupola: al piano terreno corrisponde esternamente un alto basamento in finto bugnato rustico, concluso da una cornice marcapiano, mentre i due ordini superiori presentano un motivo regolare a losanghe, ottenuto con laterizio a vista formato da mattoni di diverso colore d'impasto, rosso e giallo. Il tutto è poi coronato in alto da un cornicione dorico, a dentelli dal forte aggetto. Tre sono le facciate del Tempio: due monumentali su via Coltellini e Piazza Mazzini e una secondaria su via Blasia, mentre il quarto lato è aderente ad un altro fabbricato. Nella zona centrale dei due prospetti principali è inserita una struttura identica di grandi dimensioni: quattro semicolonne d'ordine gigante recanti capitelli a foglia di palma poggiano su una breve gradinata di granito grigio e sostengono un'alta trabeazione con timpano triangolare, di matrice classica.

Le grandi colonne sono realizzate in muratura di mattoni ed intonacate, successivamente rifinite con scagliola ad imitazione della breccia, un marmo verde con venature leggere. I basamenti delle colonne sono costituiti di marmo bianco di Carrara, così come lo zoccolo presente in tutti i fronti. I capitelli sono formati da una pietra pastosa e compatta, di colore chiaro, giallognolo, che potrebbe essere definita calcare, assimilabile alla pietra vicentina.

La finta breccia delle colonne centrali

La finta breccia delle colonne centrali

Il portale centrale è sormontato da una lunetta semicircolare a rilievo, posta tra due formelle, pure a rilievo, che ne assecondano la sagoma. Ai lati si aprono le porte minori, architravate e coronate da lunette con roste di ferro battuto. I piedritti e le ghiere d'arco che incorniciano le orte sono costituiti da formelle di cotto ridipinte, ad imitare la pietra vicentina utilizzata qua e là nella costruzione dell'edificio.

Superiormente si articolano, al centro, una trifora con archi a tutto sesto e ai lati due monofore poste sopra gli accessi minori; gli archi si innestano su colonnine di breccia verde come quella imitata nelle colonne principali, e su pilastrini, che fungono da piedritti, recanti piccoli capitelli compositi e basamenti realizzati della stessa pietra chiara, simile alla vicentina, dei capitelli centrali.

In aggiunta a quanto previsto dal progetto originario, che non conteneva alcuna indicazione sulla policromia delle superfici, le facciate si adornano di inserti dipinti: nel frontone le Tavole della Legge , un fregio a scudetti e festoni, di gusto classicistico, nella fascia del cornicione; nei riquadri sopra la trifora e sotto le due monofore figurano poi frasi ebraiche dorate, in cui i caratteri propri della scrittura vengono espressi in senso decorativo. Sopra le due monofore sono dipinti strumenti musicali come la tromba, la cetra di Re David, il corno di montone o "Shofar", tipici della tradizione ebraica. Un altro elemento decorativo che impreziosisce le facciate è dato dai rilievi in cotto ripassato a calce ad imitazione del marmo. Nella lunetta centrale si osserva il candelabro ebraico a sette bracci, detto anche "menorah" ( noto come il candelabro del tempio di Re Salomone) con accanto la brocca e il bacile usati per la lavanda delle mani dei sacerdoti o "kohanim". Il tutto è contornato da serti di fiori e foglie di palma. La palma, il salice e il mirto compongono il mazzo chiamato "Iulav", usato nella festa delle capanne. Nelle due formelle laterali figura un rosone dal motivo nastriforme. Accanto all'utilizzo di materiali consueti come la pietra, il marmo o il laterizio, la sinagoga costituisce anche un precoce esempio di "aggiornamento" ai nuovi, per allora, materiali tecnologici, in particolare di tipo metallico, che negli anni successivi entreranno nella struttura della "moderna" edilizia. Tale innovazione è riscontrabile soprattutto nell'interno del Tempio, dove le colonnine ioniche scanalate, i pilastrini del matroneo, la balaustrata e la ringhiera presso l'aron sono realizzati in ghisa. Ma anche all'esterno si utilizza la ghisa per le mensole che compongono il dentello dei frontoni. È vero che tale impiego avviene ancora in maniera mimetica, perché il metallo viene ricoperto da uno strato di colore per imitare altri materiali quali il marmo, ma ugualmente testimonia una fase di transizione dall'architettura tradizionale a quella moderna, che si avvale di nuovi materiali tecnologici. Tale peculiarità, inoltre, deriva probabilmente dalla doppia formazione del Maglietta, l'autore del progetto: architettonica, ma soprattutto ingegneristico/matematica. Il portone d'ingresso sulla Via Coltellini immette, dopo un breve pronao, direttamente nell'ampia sala di preghiera del Tempio, perché questa, come sopra spiegato, era la facciata principale. Oggi, invece, si utilizza come accesso all'edificio la porta di destra della facciata su piazza Mazzini. Varcato l'ingresso, un corridoio nel cui muro si trovano alcune antiche cassette per elemosine conduce a un atrio illuminato da un lucernario mobile: è la stanza dove, durante la "Festa delle capanne" o Succoth, viene costruita una capanna di frasche a cielo aperto. Alle pareti sono affisse diverse lapidi tra cui quella a ricordo dell'inaugurazione avvenuta il 19 dicembre 1873. Da qui, tramite una porta in legno, si accede al Tempio: nell'ampia sala rettangolare è inscritto un perimetro ellittico formato da dodici colonne (numero allusivo alle dodici tribù d'Israele) dai capitelli compositi reggenti un cornicione su cui si imposta la vasta cupola, decorata a stelle dorate su fondo blu, a simulare il cielo notturno. Per quasi tutta la circonferenza della sala si sviluppa il matroneo, lo spazio destinato alla preghiera delle donne che devono, durante il rito, stare divise dagli uomini. La forma longitudinale della sala trova il suo punto focale nell'area delimitata da una cancellata in ferro battuto in cui, preceduta da alcuni gradini, è situata l'Arca Santa o armadio sacro (in ebraico "Aron ha-kodesh") contenente i rotoli della legge, la "Sefer Torah" (il Pentateuco), che riceve luce naturale da un lucernario a vetri colorati. L'Aron si presenta come un tempietto d'impianto poligonale con pareti a cui si addossano semicolonne. L'apertura, al centro, è velata da una tenda e sormontata da una lunetta sulla quale è scritto in ebraico "il Signore è l'unico Dio". Al di sopra di questa si osservano le Tavole della Legge.

Interno della sinagoga

Interno della sinagoga

Le decorazioni di quest'area risaltano per l'uso del blu lapislazzuli e delle lamine dorate e sono opera del già citato Ferdinando Manzini. Le pareti sono prive di decorazioni religiose, come prescritto in un tempio ebraico.

Date le grandi dimensioni della sinagoga rispetto all'attuale numero di ebrei modenesi, normalmente non viene utilizzata, preferendole il piccolo Oratorio Tedesco (così chiamato poiché in tale lingua originariamente vi si officiava), che si trova in Via Coltellini 10.

La sinagoga prima del restauro

L'attuale collocazione urbanistica del monumento lo vede situato nel centro di Modena, in un'area a traffico limitato. In passato, però, la Via Emilia, l'arteria principale della città, su cui si apre la piazza antistante il tempio, e le strade ai lati dell'edificio erano interessate da un consistente flusso di traffico e quindi di inquinamento che, unitamente all'azione del tempo, aveva fortemente deturpato le facciate della sinagoga. L'edificio si mostrava infatti coperto di polvere, sporcizia, residui di smog, incrostazioni, tanto da far assumere a tutto la costruzione una colorazione piuttosto scura.

Sinagoga di Modena prima del restauro

La sinagoga prima del restauro

Nelle parti alte della facciata e nel cornicione erano visibili anche gli effetti delle infiltrazioni di acqua piovana proveniente dal tetto: dilavamenti, macchie, lacune e crepe dovute al congelamento dell'acqua all'interno del muro. Nella zona bassa vistoso era l'effetto della risalita di umidità dovuta alla presenza del Canale d'Abisso, un antico canale sotterraneo derivante dalla rete fluviale e dal Canal Chiaro, sottostante il fabbricato: si osservavano in questa zona distacchi di intonaci, macchie, efflorescenze saline e alterazione superficiale dei materiali.

Le inferriate presenti in tutte e tre le facciate erano quasi completamente ossidate. La parte pittorica si presentava quasi ovunque con dilavamenti e nella maggioranza dei casi parte di essa era scomparsa. Da non trascurare era anche l'azione del guano di piccione, presente su diverse zone di materiale lapideo. Si poteva riscontrare persino l'azione vandalica umana consistente in scritte con bombolette e pennarelli sulla parte in laterizio dell'edificio. Vi erano infine alcune crepe dovute al terremoto che colpì Modena nel 1989.

Prove di pulitura e interventi preliminari al restauro

Sebbene l'aspetto della sinagoga fosse seriamente compromesso, la ricognizione dei materiali e il metodo di pulitura da utilizzare furono scelti con una certa velocità e sicurezza, con l'ausilio di non molte analisi, ma avvalendosi dell'esperienza acquisita sui medesimi tipi di materiali dai restauratori. Le ricerche rivelarono come l'edificio non fosse mai stato sottoposto a cicli completi di manutenzione, a parte parziali riprese e sostituzioni eseguite saltuariamente, sicché le sue superfici non erano state alterate, conservando la loro originaria costituzione.

Si precisa che l'intervento riguardò principalmente l'aspetto esterno del monumento, mentre dal punto di vista strutturale e architettonico si intervenne su tre elementi: la copertura della cupola, il grande lucernaio del "Cortile delle Capanne" e le vetrate colorate che si aprono nel tamburo della cupola e nelle facciate. Il presente lavoro intende descrivere il lavoro svolto sui tre prospetti esterni del monumento (4).

Si procedette così ad una attenta campagna di ricognizioni visive, tecniche e fotografiche, constatando la qualità dei materiali costituenti le facciate dell'edificio e valutando gli esiti delle prove di pulitura dei materiali medesimi per un totale di venticinque saggi stratigrafici. Da questo primo approccio emerse il vario assortimento di materiali di rivestimento, sapientemente posizionati per dare al Tempio un aspetto cromatico ed architettonico inusuale, che lo distingueva dall'edilizia urbana dell'epoca.

Per restituire al meglio questa peculiarità "Gli interventi di conservazione e restauro sono stati attentamente calibrati zona per zona, materia per materia, allo scopo di rispettarne la costituzione e garantire una lunga durata ai trattamenti usati"(5). Per questo le prove di pulitura si diversificarono in funzione del materiale costitutivo. Su tutte le superfici si utilizzò una soluzione di bicarbonato d'ammonio ed EDTA, commercialmente nota con il nome di AB 57, ma differente da zona a zona è stata la tecnica di applicazione sperimentata. Nella cornice del frontone e nella trabeazione dell'ordine centrale, formate da mensoline in ghisa e modanatura in stucco, presentanti problemi di dilavamento e incrostazioni di sporco ed inquinamento, si procedette applicando a pennello la soluzione sopra indicata. La superficie fu poi risciacquata con acqua, strofinando con spazzole di saggina e spugne. Per quanto riguarda le parti in laterizio, e cioè la cortina di mattoni gialli e rossi, le formelle in cotto dipinto dei piedritti del portale, le cornici delle finestre arcuate dell'ordine centrale, l'intonaco bugnato del basamento, furono effettuate indagini tecniche su piccole porzioni di parete per ottenere una indicazione utile sul tipo di prodotto chimico da utilizzare. Fu così applicata la medesima soluzione con un pennello e successivamente asportata con una energica azione di spazzolatura. La superficie fu poi ricoperta con veline di carta giapponese imbevute della soluzione di bicarbonato d'ammonio ed EDTA e lasciate ivi per 60 minuti circa, lavando infine le medesime superfici con acqua distillata.

Prova di pulitura della parete in laterizio utilizzando veline di carta giapponese

Prova di pulitura della parete in laterizio utilizzando veline di carta giapponese

Per quanto riguarda la parte lapidea, si poterono individuare due metodologie di intervento, da utilizzare scegliendo l'una o l'altra nel momento del restauro. Fu proposto l'impiego di acqua nebulizzata: dopo una prima azione di pulitura, sarebbe stato necessario un successivo lavaggio delle incrostazioni saline solubili con acqua deionizzata, meglio se con getto dall'alto per facilitare il distacco delle croste. È un metodo efficace in caso di sporco depositato sulle superfici da pulire, in quanto l'acqua scioglie il gesso della pietra, o la calcite secondaria, che fungono da leganti per la crosta nera, ma oltre all'effetto di solubilizzazione agisce anche con effetto meccanico sulla crosta. Per questo è meglio usare la minor quantità possibile di acqua, per non provocare erosioni e per evitare di impregnare le pietre porose di troppa acqua. Tale intervento è principalmente di tipo chimico in quanto è capace, con la sua azione, di sciogliere i solfati, leganti per le croste nere superficiali.

L'altra proposta era legata all'applicazione di impacchi di pasta vegetale o di carbossimetil cellulosa ed elementi come il bicarbonato di sodio, EDTA con una permanenza dell'impasto con tempi variabili a seconda dei casi. Per togliere tutto il solvente sarebbe stata necessaria un'attenta azione di spazzolatura con spazzolini morbidi in nylon e acqua deionizzata. Fu prevista la disinfestazione da alghe, muschi e licheni formatisi sul materiale lapideo che attribuivano alle facciate un aspetto anche leggermente verdognolo; per questa operazione si doveva utilizzare un biocida ad ampio spettro come ipoclorito di sodio o sali di ammonio quaternari. Furono proposte asportazioni di stuccature cementizie, malte e intonaci estranei all'impasto originario, rimozioni di grappe in ferro, e stuccatura di lacune con calce aerea, idraulica, polvere di marmo e piccole quantità di resina acrilica in soluzione acquosa. Le lacune di intonaco furono ripristinate con stuccatura di malta a base di calce. Per le parti sconnesse fu proposto consolidamento con microcucitura con perni e con resine epossiliche, mentre per i piccoli pezzi staccati con resine poliestere e per l'apparato marmoreo con solventi a base di silicati di etile. Furono attuate quindi prove di pulitura sui capitelli, sulle colonnine, sulle lesene delle finestre della zona centrale, sul davanzale delle finestre medesime e su tutta la decorazione a rilievo che sormonta il portale, che presentavano sporcizia elevata e problemi di deterioramento e di dilavamento dovuti all'azione dell'acqua meteorica. Dopo spennellatura con soluzione di EDTA, e successiva spazzolatura, furono applicati impacchi solventi formati da una miscela di bicarbonato di ammonio ed EDTA impregnante pasta di cellulosa che fu lasciata a contatto con i materiali fino a 120 minuti, per sciogliere le incrostazioni più resistenti.

Prova di pulitura sulle lesene di breccia  delle finestre Prova di pulitura sulle lesene di breccia  delle finestre

Prova di pulitura sulle lesene di breccia delle finestre. A sinistra il primo trattamento con la soluzione di EDTA, a destra il secondo

Per quanto riguarda i riquadri con le diciture in ebraico e i decori a parete che si mostravano altamente deteriorati, dilavati e perduti in parte, si ritenne adeguata un'azione di rimozione manuale di muffe, incrostazioni, polvere, attraverso una spazzolatura con spazzole morbide di fibra sintetica, che non andasse a danneggiare il materiale stesso.

Si ipotizzò anche un'eventuale desalinizzazione superficiale delle parti danneggiate da infiltrazioni d'acqua con impacchi assorbenti di acqua distillata, capace di portare in soluzione i sali rimasti nella zona interessata, eliminandoli completamente o parzialmente dalla superficie. Per quanto concerne il restauro degli intonaci delle pareti fu ipotizzata inizialmente, dopo ovvia saggiatura sistematica per capire quale fosse la consistenza e la coesione dell'intonaco, una rimozione manuale delle parti di intonaco ammalorato e di malte di gesso e di cemento, seguita da una spazzolatura con spazzole morbide, per rimuovere sporco e polvere, fino al consolidamento preventivo con una resina acrilica, stuccando in profondità lesioni, interstizi e cavità e stendendo infine l'intonaco superficiale formato da calce idraulica, sabbia e grassello di calce, a chiusura di zone mancanti.

Effetto del dilavamento sulle Tavole della Legge

Effetto del dilavamento sulle Tavole della Legge

Le parti ferrose, ossidate, avrebbero richiesto trattamento di spazzolatura con mezzi meccanici manuali di ferro o di saggina, la stesura di una mano di fosfattante, capace di convertire la ruggine proteggendo il materiale e una mano di smalto ferromicaceo a finire per un ulteriore protezione del metallo.

Il restauro

Gli ottimi risultati ottenuti dalle prove di pulitura permisero di estendere le tecniche a superfici più ampie, cioè alle facciate intere dei tre fronti, analoghi per forme, materiali costitutivi e problemi di deterioramento, verificando al tempo stesso la resa estetica degli interventi sull'intero monumento.

Nel descrivere gli interventi effettuati, ci si soffermerà in particolare sulla scelta dei prodotti utilizzati nel restauro, che, se non adeguati, possono rappresentare un rischio per la "salute" del bene artistico. Per valutarne l'adeguatezza, si possono effettuare delle analisi, ma ci si può riferire anche alla certificazione dei prodotti, che devono essere provvisti di un'adeguata sigla che ne caratterizzi la purezza, le proprietà, e l'efficacia.

Parte lapidea

La cornice del frontone, il timpano del medesimo e la cornice sommitale delle pareti in laterizio, erano stati rifatti con malta cementizia in epoca recente e risultavano in ottime condizioni, pur presentando fenomeni di dilavamento e sporcizia. La superficie fu così sottoposta a lavaggio con acqua a pressione, per eliminare la sporcizia, e successivamente a fissaggio con soluzione acquosa di una resina acrilica al 10% m/v. Le stuccature necessarie furono eseguite con malta di calce idraulica, cui seguì il tinteggio a calce con tonalità di verde differenziate a seconda della profondità dei piani.

La soluzione utilizzata in questo caso per il fissaggio è chiamata PRIMAL AC 33, emulsione acrilica al 100%, un prodotto introdotta sul mercato nel 1953 dalla ROHM & HAAS di Filadelfia. Impiegata in tutte le parti del mondo e su qualsiasi supporto, ha dimostrato un'alta resistenza in tutti i climi, nelle più severe condizioni atmosferiche. Ha aspetto liquido lattiginoso bianco, un PH attorno a 9,0/9,5, con una buona stabilità, una carica colloidale non ionica e un residuo con bassa volatilità. È eccellente la sua stabilità al fenomeno del gelo e disgelo, presenta grande compatibilità con pigmenti e cariche, ottima resistenza ai sali solubili e una buona stabilità meccanica. Importanti sono anche la sua compatibilità con altre emulsioni e una finissima probabilità di dispersione. Il film che la resina forma ha una buona trasparenza, resiste all'ingiallimento, ai raggi UV, è flessibile ed elastico, ha un ottimo potere legante e adesivo grazie alla discreta polarità della molecola dovuta al gruppo COOH, ha resistenza ad agenti chimici e ai grassi. Esteticamente, le prerogative che rivestono maggior importanza sono la resistenza allo sfarinamento e al lavaggio, ma soprattutto all'efflorescenza e alla formazione di macchie.

Una resina acrilica come PRIMAL è un materiale termoplastico, ottenuto dalla polimerizzazione dell'acido acrilico, dell'acido metacrilico e di loro derivati. L'acido acrilico, facilmente ricavabile tramite la sostituzione di un idrogeno con un gruppo carbossilico (COOH) dall'etilene.

La plasticità della resina varia con il tipo di monomero di partenza. Uno dei problemi delle resine acriliche è quello di ottenere una buona profondità di penetrazione con profondità maggiori di 0,5/1 cm anche nelle condizioni più sfavorevoli. Talvolta, nonostante l'utilizzo di tali resine, si sono riscontrati problemi di dilatazione nelle pietre, maggiori di quelli che sarebbero avvenuti senza il trattamento. Per questo sono state create miscele di tali resine con solventi particolari. La cornice e l'architrave della trabeazione, assieme alle cornici delle finestre ai lati dell'ordine gigante, e la fascia marcapiano risultarono formate da malta di calce e sabbia poi tinteggiata. Tali parti furono sottoposte a pulitura con una soluzione chiamata AB 57 con EDTA e pasta di cellulosa, previo fissaggio della superficie con PRIMAL AC 33 in soluzione al 10%. Si procedette poi alle stuccature e integrazioni con malta di calce idraulica e tinteggiatura finale con colori a calce, per rispettare l'omogeneità dei materiali di utilizzo. La pasta AB 57, utilizzata per metodi di pulitura, è stata messa a punto dai tecnici dell'Istituto Centrale del Restauro di Roma.

La ricetta consigliata è la seguente:

1000ml di H2O30 g di NH4HCO3 ( bicarbonato di ammonio)

50g di NaHCO3 ( bicarbonato di sodio)

25g di EDTA ( sale sodico dell'acido etilendiamminotetracetico)

10g di tensioattivo fungicida ( è un sale di ammonio quaternario)

60g di carbossimetil cellulosa

Tale ricetta ha PH pari a 7,5 ( è importante non superare il valore di 8 per evitare la corrosione del calcare e la formazione di sottoprodotti dannosi).

L'azione del bicarbonato sarà quella, mediante effetto alcalinizzante, di favorire il distacco meccanico della crosta, mentre l'EDTA complessa il calcio presente nella crosta, solubilizzandolo. Il gesso può essere riportato allo stadio di marmo tramite proprio il carbonato di ammonio secondo la reazione

(NH4)2CO3 + CaSO4 ——> CaCO3 + (NH4)2SO4

tale solfato verrà poi fatto reagire con dell'idrossido di bario, secondo la reazione:

(NH4)2SO4 + Ba(OH)2 ——> BaSO4 + 2 NH4 OH

il solfato di bario è decisamente inerte e l'idrato di bario in eccesso diventerà facilmente carbonato, reagendo con anidride carbonica.

Operazioni di restauro

Applicazione della soluzione AB 57 in pasta di cellulosa al capitello delle colonne centrali

Talvolta si può aggiungere dell'ammoniaca (NH3) e della trietanolammina (N(CH2CH2OH)3 ) che facilitano la dissoluzione di eventuali componenti grasse ossidate presenti nella crosta nera.

Ove possibile, sarebbe utile evitare l'utilizzo del bicarbonato di sodio che potrebbe creare residui di sali sodici nel materiale pulito, con conseguente problema della cristallizzazione del sale. È consigliato sciacquare i residui della pasta, completando con un'attività di spazzolatura con spazzole di saggina, per evitare residui di sali di sodio e di cellulosa che creano un aspetto di "appiccico". Questa pasta non è però consigliabile per materiali molto alterati, come ad esempio marmi e per i calcari sensibilmente porosi, ove può risultare difficile l'estrazione della sporcizia e della crosta nera. I capitelli, sia delle colonne grandi che di quelle piccole, le basi delle piccole, e le ghiere d'arco alle finestre, tutti realizzati con un calcare compatto, probabilmente Pietra di Vicenza, si presentavano pressoché integri, senza lacune o fratture di rilievo, ma coperti da guano di piccione e da croste nere. Si intervenne con reiterati impacchi di AB57 in pasta di cellulosa e con un fissaggio con PRIMAL AC 33 al 10%. Le poche integrazioni furono eseguite con malta composta da grassello di calce e polvere di marmo. Quest'ultima è una particolare polvere composta da parti sbriciolate di marmo e quindi più somigliante al marmo stesso e più resistente di una malta.
Particolare: fregio a treccia orizzontale sulle colonne

Particolare: fregio a treccia orizzontale sulle colonne

Medesimo trattamento, nonostante la pietra fosse in questo caso il marmo bianco di Verona, fu attuato sui piedritti e sulle ghiere d'arco dei tre portali, sui basamenti e sulla fascia a treccia delle colonne grandi e su tutto lo zoccolo del fronte, che presentavano piccole lacune, lievi fratture, ma spesse croste nere contenenti sostanze aggressive.

I fusti delle colonnine e i piedritti delle finestre (di breccia verde) mostravano lacune dovute all'infiltrazione di acqua e a fenomeni di gelo e disgelo, mentre i fusti delle grandi semicolonne recavano un'incrostazione superficiale in malta cementizia, derivata da un recente intervento, ma di aspetto non compatibile con l'immagine complessiva del tempio. I primi furono puliti con AB57 e successivo trattamento di fissaggio con la resina, integrando le lacune con malta di grassello di calce, polvere di marmo e pigmenti naturali tendenti al verde, trattando infine con cera. I fusti delle grandi semicolonne furono puliti con acqua a pressione, seguita da fissaggio con la resina, ripristinando poi la finitura marmorizzata con la tecnica della calce lustrata a cera, imitante la breccia verde.

Parte in cotto e laterizio

Il fregio a treccia orizzontale posto sotto il davanzale delle finestre e attorno alle grandi colonne, la lunetta posta nell'arco del portale, le formelle ai lati, costituiti da elementi in cotto, subirono la medesima pulitura delle parti lapidee, seguita da reintegrazione delle lacune e da velatura finale di colore chiaro, ad imitazione della pietra calcarea, eseguita con tinte a calce. Le cortine in laterizio, formate da mattoni di color rosso e giallo disposti a losanghe, erano integre, ma ricoperte da un corposo strato di sporcizia e smog. Furono necessari diversi impacchi di AB 57 seguiti da fissaggio con una resina acrilica differente dal PRIMAL, ossia il PARALOID B 72 al 7% e da trattamento finale idrorepellente traspirante con SILIRAN. Le piccole integrazioni necessarie furono eseguite con una malta idraulica formata da calce, polvere di marmo, coccio pesto e pigmenti colorati. Il PARALOID B 72 è un tipo si resina che svolge la medesima funzione del PRIMAL, ma con differente solvente applicatore: mentre il secondo richiede acqua, il primo necessita di solventi come acetone o alla nitro. Si presenta sotto forma di granuli chiari dall'odore acrilico, le sue polveri sono nocive. La sua solubilità in acqua è trascurabile, mentre questa capacità si presenta buona in n-butanolo, alcol di acetonico, 1,1,1, tricloro etano, toluolo, xilolo, acetone, metilchetone, dimetilformammide, solvente alla nitro, cloroformio, cloruro di metilene. Ha una buona stabilità in condizioni climatiche estreme e agli acidi principali, lubrificanti, detersivi. Il basamento delle colonne ed i gradini in granito grigio presentavano una diffusa fratturazione. Fu quindi necessario un consolidamento con PARALOID B72 al 7% dopo pulitura con AB 57 e successivo lavaggio con acqua e sapone neutro. Le stuccature furono realizzate con malta di calce idraulica, sabbia e pigmento colorante grigio. Il basamento in finto bugnato, posto su tutti e tre i fronti, originariamente costituito da malta di calce idraulica e sabbia, presentava vaste riprese cementizie e grandi chiazze di umidità. Furono necessari pulitura con acqua in pressione, fissaggio con PRIMAL AC33 e stuccatura in malta, di composizione analoga a quella originale, delle poche lacune.

Parte intonacata

Sulle pareti, fra i vari elementi di ornato architettonico, era posto un intonaco di calce idraulica con estesi rifacimenti in malta cementizia, molto deteriorata a causa dell'umidità: erano presenti bugne e distacchi in modo diffuso e localizzato. La pulitura avvenne con la sequenza AB 57, PRIMAL AC33, integrazione delle lacune con malta, ritinteggiatura con tonalità differenziate in base ai diversi piani del fronte e velatura finale a calce.

Parte decorata

Le scritte dorate in ebraico e le decorazioni pittoriche a tema musicale, cosi come le Tavole della Legge nel frontone e il fregio della trabeazione, mostravano gli effetti del dilavamento, che aveva provocato la scomparsa del colore, la presenza di sporcizia e di qualche crepa qua e là.

Dopo la pulizia con AB 57 e il successivo fissaggio con resina acrilica, per le scritte in ebraico si provvide al restauro pittorico con integrazione del disegno e delle coloriture a base di terre naturali legate da soluzione della resina consolidante medesima, mentre per le Tavole della Legge si dovette ripristinare la decorazione pittorica, sulla base di spolveri risalenti a precedenti interventi.

Le scritte dorate furono riproposte con porporina dorata anziché foglia d'oro, per motivi di costo e per differenziare l'intervento di restauro attuato da quello originale.

La decorazione ad affresco con le Tavole della Legge nel timpano di Via Coltellini era ancora in buono stato e pertanto venne solo pulita nel modo già descritto e reintegrata nelle parti mancanti con terre naturali legate con la stessa resina consolidante, come per le scritte in ebraico.

Decorazione pittorica della facciata principale post restauro

Decorazione pittorica della facciata principale post restauro

Parte metallica

Le mensole in ghisa che sostengono le cornici del frontone furono spazzolate, sottoposte a trattamento antiruggine e verniciate con una tinta acrilica secondo il colore originale chiaro, ad imitazione di una pietra calcarea. Le inferriate di ferro largamente ossidato furono sottoposte ad asportazione della ruggine in modo manuale con spazzole di ferro e saggina, seguita da un trattamento antiruggine con FEROX (converte la ruggine in un complesso stabile nero resistente alle intemperie)e da una verniciatura con grafite e OWATROL, che può essere utilizzato sia come antiruggine che come protettivo del metallo e base di pittura.

"A lavori ultimati, l'edificio ha perduto il suo aspetto sciatto e polveroso, triste e trasandato, che certo non si confaceva alla sua primitiva monumentalità. Nulla si è inventato, non sono state operate scelte interpretative. Sono soltanto tornati a splendere i colori originali, restituendo alla raffinata architettura del fabbricato quella qualità cromatica che venne certamente ideata per esaltarne le forme e per renderlo unico, chiaramente identificabile nel panorama urbano della Modena di fine Ottocento." Ivan Marmiroli (6).


Osservazioni
Il monumento attualmente ha un aspetto nobile e degno della sua grandezza. Il restauro avvenuto nel 1995 ha riportato al primitivo splendore le sue facciate che ancora mostrano condizioni ottimali. La Sinagoga, proprio perché posta in una zona a traffico limitato, sembrerebbe un monumento che difficilmente possa essere contaminato da effetti dell'inquinamento o comunque in misura molto minore rispetto ad un edificio sito in una strada trafficata. In effetti le sue facciate si presentano prive di qualsiasi effetto di dilavamento, di croste nere e di sporcizia. Un'analisi attenta delle sue componenti architettoniche ha rilevato solamente una macchia di umidità posta nella parte più a contatto con il canale d'Abisso e qualche frattura nei basamenti delle colonne posti sulla facciata prospiciente via Coltellini.

Sinagoga di Modena

La rinascita dei colori della facciata della sinagoga dopo il restauro

La risalita dell'umidità dal basso si presenta tuttora come un pericolo per lo stato dei muri, soprattutto nella zona a finto bugnato della facciata prospiciente Piazza Mazzini, ma rimane un problema di ardua soluzione a causa della presenza del Canale d'Abisso sotto l'edificio.

Da ricordare, infine, è l'esplosione di un'auto avvenuta i primi di dicembre 2003 nella vicina Via Blasia, dove un suicida aveva parcheggiato la vettura per poi darsi fuoco, cospargendo l'auto e se stesso di benzina. L'onda d'urto provocata dall'esplosione è stata talmente intensa da far fuoriuscire tutte le persiane dei negozi, rompere i vetri delle finestre e danneggiare tutti gli scuri sino in via Taglio. Sulla Sinagoga, in particolare, è rimasta un'impronta nerastra che si eleva sino al secondo piano: il carbone.

Chimicamente parlando, la combustione è la rapida ossidazione di un combustibile, accompagnata da un fenomeno chimico visibile detto fiamma e dalla produzione di calore. Le reazioni chimiche bilanciate che caratterizzano i fenomeni di combustione, analizzando per esempio il gas metano, sono le seguenti:

CH4 + 2 O2 ——> CO2 + 2 H2O + CALORE

CH4 + 3/2 O2 ——> CO + 2 H2O + CALORE

CH4 + O2 ——> C + 2 H2O + CALORE

La terza reazione dà luogo alla formazione di carbonio, ossia carbonizza il supporto dove la combustione avviene. Tale fenomeno si ha quando la quantità di ossigeno disponibile per la combustione è minore del dovuto. L'orma nera presente sulla Sinagoga è proprio dovuta alla carbonizzazione durante la combustione.

NOTE

1. Le notizie relative alla storia degli Ebrei a Modena sono state ricavate dai saggi di G. MARTINELLI BRAGLIA, Il ghetto di Modena, La Sinagoga di Modena, in AA. VV., La Sinagoga di Modena, Dossier/restauri 4, a cura della Soprintendenza per i beni artistici e storici di Modena e Reggio Emilia, Parma, 1997, pp.15/31, pp.32/61 e da P. BELLOI , E. COLOMBINI, Guida di Modena, (nuova edizione), Modena, 2003, pp.473/484.

2. Le notizie relative alla storia dell'antisemitismo in generale sono state ricavate da S. ROEDNER, Gli Ebrei in Italia: dalla diaspora alla liberazione, sito internet: http://digilander.libero.it/sroedner/primicontributi.htm

3. Le notizie relative alla sinagoga sono state ricavate dai testi indicati nella nota (1).

4. Per l'intervento di tipo strutturale e architettonico si rimanda al saggio di F. STAGI, Le fasi operative del restauro , La copertura, il tamburo, il Cortile delle Capanne e le vetrate, in AA. VV., La Sinagoga di Modena, cit., pp.107/117.

5. I. MARMIROLI, Le fasi operative del restauro / Le tre facciate, in AA. VV., La Sinagoga di Modena, cit., p.92. Da tale testo derivano le notizie sul restauro esposte nel presente lavoro.

6. I. MARMIROLI, relazione tecnica contenuta presso la soprintendenza per i beni Artistici e Storici di Modena e di Reggio Emilia.






Warning: include(../inc_footer.php) [function.include]: failed to open stream: No such file or directory in /progetti/progetto0304dd.php on line 225

Warning: include() [function.include]: Failed opening '../inc_footer.php' for inclusion (include_path='.:/usr/local/lib/php') in /progetti/progetto0304dd.php on line 225